Dal romanzo del 1919 alla serie Disney: chi era Zorro, eroe dalla parte dei deboli | Culture
Top

Dal romanzo del 1919 alla serie Disney: chi era Zorro, eroe dalla parte dei deboli

Il cavaliere mascherato rievocato dalla biografia di Salvini e dall'ex sindacalista Germani: dalla letteratura al cinema e i fumeti all’indimenticabile serie tv

Dal romanzo del 1919 alla serie Disney: chi era Zorro, eroe dalla parte dei deboli
Preroll

redazione Modifica articolo

19 Maggio 2019 - 23.44


ATF

Enzo Verrengia

Quest’anno ricorre il centenario della nascita letteraria di Zorro. E la ricorrenza s’intreccia con la cronaca politica di questi giorni. Salvini dichiara che tra le ingiustizie subite nella vita c’è il furto del suo pupazzetto dell’eroe mascherato quando andava all’asilo. L’ex sindacalista Riccardo Germani si traveste da Zorro e con quei panni esibisce da un balcone di Milano lo striscione con la scritta Stay Human, un memento della vera vocazione del giustiziere in cappa e spada: difendere i diritti dei più deboli. Se ancora ce ne fosse bisogno, è una dimostrazione della persistenza di questo personaggio nell’immaginario collettivo.

La storia di Don Diego de la Vega
Prima della radio, della tv, del cinema, dei fumetti, delle playstation e della serie televisive, c’erano le riviste popolari, che negli Stati Uniti si chiamavano dime novels, romanzi da dieci centesimi, o più semplicemente pulps, perché fatte di cartaccia ricavata dalla polpa del legno. Su di esse esordirono i grandi artigiani del racconto e i loro personaggi, fino ai grandi scrittori di gialli come Dashiell Hammett e Raymond Chandler.
Si trattava di pubblicazioni impostate strettamente sui generi, dal western alla fantascienza. Alcune però spaziavano più liberamente nei campi dell’avventura. Fra queste, All Story, settimanale su cui dal 9 agosto 1919 appare un singolare romanzo a puntate, The Curse of Capistrano, la maledizione di Capistrano, di Johnston McCulley. È la storia di Don Diego de la Vega, rampollo di un’agiata famiglia di proprietari terrieri nella California della prima metà dell’Ottocento. In pubblico si finge codardo, effeminato e poetastro, in segreto combatte contro l’oppressione del governatore locale. Non si specifica se le autorità siano spagnole o messicane. Certo, è un trionfo della filosofia americana, tutta inneggiante alla libertà da qualsiasi forma di centralismo burocratico e soprattutto fiscale.

Zorro significa volpe
Zorro significa volpe in messicano, ed ha un illustre precedente nella letteratura popolare. Nel 1905 era apparso La primula rossa, della baronessa Orczy, scrittrice inglese originaria dell’Ungheria. Qui era in azione Sir Percy Blackenley, giovane aristocratico vanesio che in segreto soccorre i nobili francesi tartassati dai feroci sanculotti della rivoluzione. Singolare che il rapporto di classe sia rovesciato nell’epopea di Zorro, ambientata nella democratica America. Tra l’altro, la prima versione cinematografica della Primula rossa è del 1919, in coincidenza con la prima apparizione di Zorro.

Un eroe esistito realmente
Johnston McCulley, l’autore, proveniva da una solida carriera giornalistica, fra cronaca e corrispondenze dall’estero. Durante la prima guerra mondiale aveva lavorato perfino nei servizi d’informazione militari. Nato a Ottawa, nell’Illinois, il 2 febbraio 1883, aveva cominciato in “nera”. Per la creazione di Zorro, si era ispirato a un eroe realmente esistito nella California del XIX secolo. José Maria Avila, ricordato come un individuo di alta statura, forte ed abile a cavallo, si era battuto contro un manipolo guidato dal tenente colonnello don Manuel Victoria, il 5 dicembre 1831, presso la missione di San Gabriel. All’origine dello scontro, il rifiuto di secolarizzare le terre per i coloni. Quanto al titolo del romanzo di McCulley, si ispira anch’esso a una località autentica, San Juan Capistrano, fondato nel 1775 da un monaco spagnolo, fra Santa Barbara e San Diego.

Zorro al cinema
Ma, come al solito, sarebbe stato il cinema a decretare definitivamente il fenomeno Zorro. Nel 1920, Douglas Fairbanks decide di portare sullo schermo questo spadaccino invincibile, che col suo panache, sorta di allegra spavalderia, è il Cyrano d’America. L’attore stesso scrive così una sceneggiatura cinematografica ispirata al romanzo di McCulley, con lo pseudonimo di Elton Thomas. Per la regia, assolda il grande Fred Niblo e nel novembre dello stesso anno, il cavaliere mascherato appare per la prima volta nelle sale, con Il marchio di Zorro. Di suo, Douglas Fairbanks ha aggiunto un dettaglio che diventerà il cuore stesso della leggenda. Zorro firma le sue prodezze con una grande zeta, tracciata con tre rapidi e saettanti colpi di spada… Non esimendosi neanche dal lasciarla sul posteriore degli sgherri contro cui si batte. È il trionfo. Tutte le incarnazioni successive di Zorro partono da questa. Anche McCulley vi adatta il proprio personaggio, che d’ora in poi campeggia anche nei titoli dei suoi romanzi successivi. Lo stesso scrittore viene chiamato a Hollywood, per scrivere adattamenti e sceneggiature per i serial, i film d’azione a episodi, proiettati il sabato mattina per i ragazzi.

Il figlio di Zorro
Intanto Fairbanks replica il successo con Il figlio di Zorro, del 1925, in cui don Cesar de la Vega, primogenito di don Diego, viene implicato in un assassinio alla corte di Spagna. E a cavarlo fuori dai guai sarà il padre, nei panni di Zorro. Qui Fairbanks interpreta tre parti: il genitore, il figlio e naturalmente “l’uomo della zeta”.
In seguito, Zorro diventa proprietà cinematografica della Republic, una delle case cinematografiche di Hollywood specializzata in serial. Le scene più pericolose del cavaliere mascherato toccavano al cascatore Yakima Canutt. In Il ritorno di Zorro, del 1937, l’ambientazione viene aggiornata al presente, per cui alla spada sono sostituiti due potenti revolver e una frusta, con la quale l’eroe compie prodezze poi riprese a non finire nel cinema d’azione. Per esempio scoccarla verso una leva di scambio per liberarsi i piedi imprigionati della rotaie mentre arriva un treno. O attorcigliarla intorno a un’asta e appendervisi come Batman per evitare di cadere da un grattacielo.
Come controfigura, Canutt dà il meglio di se stesso in La legione di Zorro, del 1939. Abbarbicato sul tetto di una diligenza in corsa, salta sui cavalli che la trascinano, quindi si lascia cadere in basso, fra gli zoccoli e le ruote, per risalire sui veicolo da dietro. La scena, divenuta un classico, venne ripresa come citazione in I predatori dell’arca perduta dal personaggio di Indiana Jones.

Tyrone Power lo spadaccino
Nel 1940 si ritorna al modello originale di Fairbanks. La Twentieth Century Fox di Darryl Zanuck puntava su Errol Flynn, candidato ideale al ruolo di paladino degli indifesi, dopo l’exploit nelle vesti di Robin Hood. Il divo però era sotto contratto con la Warner Bros, che non lo cedeva. Perciò la scelta cadde su Tyrone Power, con Basil Rathbone nei panni del capitano Esteban, dopo che il grande pubblico gli si era affezionato in quelli di Sherlock Holmes. Il film, rititolato Il marchio di Zorro e diretto da Rouben Mamoulian, era destinato a diventare il classico dei classici. La scena finale del duello tra don Diego ed Esteban tocca punte di perfezione scenografica e teatrale. Specie nel celebre prologo, in cui i due contendenti mostrano a vicenda le proprie abilità di spadaccini affettando candele!

Da allora in poi, lo Zorro cinematografico ha vissuto di rendita. Dignitosissimo e accattivante lo Zorro di Duccio Tessari del 1975, col volto di Alain Delon. Più interessante la parodia Il grande Zorro, diretto da Peter Medak nel 1980, con George Hamilton nei panni di un irriverente versione gay dell’eroe di McCulley.
Poi sarebbe arrivata la saga con Banderas.

Le trasposizioni a fumetti
Zorro ha avuto numerose trasposizioni a fumetti, l’ultima della quali prodotta dalla Marvel, su testi di Ian Hammer e disegni di Mario Capaldi. Travolgente la comicità di Zorry Kid del grande Jacovitti, dove la California ha fattezze più che altro borboniche e il governatore parla napoletano come re Franceschiello.

L’irripetibile successo dello Zorro della Disney
La verità è che l’attuale persistenza del mito dipende soprattutto dalla serie televisiva prodotta dalla Disney. Alla metà degli anni ‘50, negli studios di Burbank non si credeva granché nel potenziale di Zorro, tanto da preferirgli un altro personaggio, Andy Burnett. Ma i telefilm a lui dedicati si risolsero in un fiasco. Allora la Disney acquistò i diritti del cavaliere mascherato dall’agente detentore, Mitch Guertz, per la ridicola somma di 3.500 dollari. Gli episodi sarebbero stati realizzati in bianco e nero –quando già la tv americana era a colori– con la regia di Norman Foster. Alla supervisione delle sceneggiature fu chiamato lo stesso creatore di Zorro, Johnston McCulley. Per il protagonista, si optò per un oscuro attore di origine italiana, Guido Catalano, in arte Guy Williams. Nessuno sapeva tirare di scherma come lui, perché aveva preso lezioni del tutto casualmente mentre era disoccupato.

Lo Zorro televisivo della Disney fu un successo irripetibile. Dall’ottobre del 1957 al luglio del 1959 andarono in onda i 78 episodi originali sull’ABC. Ben presto furono venduti in tutto il mondo, e ad ogni latitudine i ragazzi cantarono il motivetto della sigla, composta da George Burns, con parole di Norman Forster, eseguita dai Chordettes. Dichiarò Guy Williams: «L’idea di interpretare Zorro non era proprio qualcosa per cui entusiasmarsi… In compenso mi piaceva la certezza che gli episodi sarebbero stati girati nelle migliori condizioni possibili». Quello che l’attore non aveva messo in conto era di legarsi al personaggio irrimediabilmente. Infatti dopo Zorro, non riuscì a trovare parti adatte, rinunciò alla villa di quindici stanze, allo yacht, e ripiegò in Argentina, dove trascorse modestamente gli ultimi anni della sua esistenza.

Insieme a Williams, lo Zorro televisivo rese familiare il sergente Garcia interpretato da Henry Calvin, il capitano Monastario (Britt Lomand), Bernardo (Gene Sheldon) il servo muto e don Alejandro (George J. Lewis) padre di don Diego.
L’immagine più vivida di questo mitico personaggio al momento resta quella della sigla televisiva. Il contorno di Zorro su un cavallo che s’impenna, tra lampi e scoppi di tuono, mentre una spada disegna con un sibilo la scheda a tutto campo. È una delle occasioni in cui il piccolo schermo di casa diventa grande contenitore di sogni.

Native

Articoli correlati