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Chi multa l’elemosina colpisce al cuore cristianesimo, ebraismo e Islam

La Lega a Sassuolo che punisce chi fa la carità tradisce il messaggio cristiano. La parabola del buon samaritano insegna tutt’altro. Papa Francesco ha colmato la distanza che si era creata tra Chiesa e poveri

Chi multa l’elemosina colpisce al cuore cristianesimo, ebraismo e Islam
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2 Maggio 2020 - 11.48


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di Antonio Salvati

La crisi attuale della pandemia ci mostra anche la necessità di relazioni umane e di reti di solidarietà. Ovviamente, ma più drammaticamente, è un momento difficile per i più poveri, soprattutto per coloro che vivono per strada. In tal senso, è apparso francamente sconcertante quanto ha deciso l’amministrazione comunale di Sassuolo, a maggioranza Lega, che ha votato un provvedimento che prevede una sanzione di 56 euro non a quanti chiedono la carità per strada, ma a chi la carità per strada la fa (clicca qui per la notizia). È opportuno ricordare che chiedere l’elemosina non è reato, così come non è reato l’accattonaggio o, addirittura, vivere per strada. Proprio a quest’ultimo riguardo, una importante sentenza della Cassazione del 2017 stabiliva che vivere per strada è lecito, così come è lecito e non costituisce reato dormire per strada.

Sulle strade delle grandi città s’incontrano tanti uomini e donne, tanti poveri, differenti tra loro. La via è la casa dei poveri più che dei ricchi. I poveri camminano. Camminano a piedi, come avviene nelle periferie delle città africane. Nel tempo della globalizzazione e della facilità delle comunicazioni, per i poveri diventa troppo caro muoversi, per molti impossibile. Prima della pandemia c’era tanta folla sulla nostra strada. Ogni via, anche quelle centrali e importanti, sono talvolta periferia quando nessuno ti guarda. Per questo colpisce la misura adottata dal comune di Sassuolo: colpevolizza i poveri e vuole privare loro anche la possibilità d’incontro, di relazione, di amicizia che spesso si concretizzano attraverso l’elemosina.

Gregorio Magno, divenuto Papa della Chiesa cattolica dal 3 settembre 590, insegna come i poveri, anche se molesti – pensava all’insistente richiesta d’elemosina – vadano capiti, mentre ricorda che non bisogna dar loro solo denaro, ma anche il dono della parola. Sì, parlare con i poveri. Dice Crisostomo, patriarca di Costantinopoli e dottore della Chiesa del IV secolo: “… mettiamo un freno alla lingua, scacciamo la disumanità, tendiamo la mano all’elemosina e confortiamo i poveri non solo con il denaro, ma anche con le parole per sfuggire alla punizione dovuta per le ingiurie ed ereditare la benedizione a motivo delle elemosina…”

L’amore per il povero – per i cristiani – è un’esperienza religiosa. Il povero è un criterio certo della verità, che ti indica la parte vera e giusta della storia e della tua vita. Il libro del Siracide parla dello sguardo del povero e verso il povero, perché tante volte – quando la voce viene meno – parlano gli occhi: “non essere insensibile allo sguardo del bisognoso” (4,1). E precedentemente: “Non respingere la supplica del povero/ non distogliere lo sguardo dall’indigente” (1,49).

Penalizzare l’elemosina è come colpire il cuore del messaggio cristiano. Nella parabola del buon samaritano, narrata nel Vangelo di Luca, Gesù mette in risalto la misericordia e la compassione cristiana. Il samaritano dette denaro all’albergatore per mantenerlo qualche giorno e lo coinvolse nella sua preoccupazione: “Abbi cura di lui”. Parlò con l’albergatore. Aiutare un ferito è coinvolgere gli altri, un ambiente, nella cura. La commozione per i poveri è creativa, coinvolgente, intelligente. Da quel giorno, il povero era entrato nella vita del samaritano, perché promise di ritornare. Il ferito anonimo era diventato un nome: quindi un impegno e un amico. Incontrare qualcuno per strada, guardarsi negli occhi, vuol dire ricordarsi il nome, non dimenticarlo: riguarda tutti, ma specie i poveri. Molti tratti di questa esperienza umana e spirituale appartengono al patrimonio non solo cristiano, ma universale.

C’è stato nel corso dei secoli un grave divorzio tra la Chiesa e i poveri. Soprattutto in questi anni, segnati dalla predicazione di papa Francesco di una Chiesa amica dei poveri e in uscita sulle strade, si è colmato il divorzio tra la Chiesa e i poveri. Non è Francesco, uomo di Dio e della preghiera, ma amico dei poveri? Oggi Francesco è la più forte voce per i poveri nel mondo. Un cristianesimo amico dei poveri e, per questo, amico di tutti.

Per Papa Francesco Gesù è nei poveri. Nella Lumen gentium, la costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa (1964), si legge al capitolo ottavo: “La Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente, anzi si premura di sollevarne l’indigenza e in loro intende servire Cristo”. Tanto che nel messaggio finale del Concilio, rivolto ai poveri e ai sofferenti, si legge: “Sappiate che non siete soli, né separati, né abbandonati, né inutili: siete i chiamati da Cristo, la sua immagine vivente e trasparente”.

La parola ebraica che indica l’elemosina, Tzedaka, viene da Tzedek, giustizia. I rabbini enfatizzano l’importanza della Tzedaka dicendo che il suo valore è simile a quello di tutti gli altri comandamenti nessi insieme. Un detto rabbinico insegna: “La Tzedaka salva dalla morte”. Un rabbino contemporaneo Reuven Kimmelman, commenta: “la Tzedaka può anche non salvarci, ma ci rende senza dubbio degni della salvezza”.

L’elemosina nell’espressione della “carità” islamica è molto simile al concetto di carità cristiana, in quanto contiene in sé la solidarietà che si deve avere verso i propri simili più deboli e più bisognosi. L’elemosina nell’Islam rappresenta non solamente un atto di sostegno ai più bisognosi, ma acquista un significato più ampio: è la solidarietà che ogni musulmano deve manifestare concretamente verso la propria umma (comunità intesa sia in ambito religioso che politico).

Non a caso per Papa Francesco l’elemosina deve tramutarsi per tutti in un vero e proprio stile di vita. Il «consumo» della religione non ci rende donne e uomini di Dio, come credono alcuni sovranisti. È l’ascolto della Parola, la sua meditazione nei nostri cuori che ci fa volgere verso Dio. Non è il divino, inteso come prodotto religioso da consumare, a darci un senso di felicità. Una vera e sincera conversione ci porta sempre verso gli esseri umani creati da Dio. Una vera conversione non si limita a trasformare il nostro cuore, ma cambia anche il nostro modo di vivere, le nostre azioni. Infatti, questa emergenza ci ha fatto conoscere un mondo di carità non formale fatta da tanti esercenti, baristi, ristoratori, semplici cittadini che si sono presi cura di tanti poveri di strada. Tanti samaritani che ritengono indecente multare la carità.

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