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Con Chinua Achebe il cristianesimo e l'Occidente feriscono l'Africa

Tradotto per la Nave di Teseo il romanzo "La freccia di Dio" del "magico" narratore e poeta: la civiltà nigeriana travolta da nuovi poteri e da un'altra religione

Con Chinua Achebe il cristianesimo e l'Occidente feriscono l'Africa
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15 Marzo 2019 - 10.09


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Chinua Achebe è uno scrittore magico – uno dei migliori del ventesimo secolo”. Lo ha detto Margaret Atwood, la raffinata scrittrice canadese che non lesina critiche e giudizi controcorrente e sferzanti: poco ma sicuro il narratore nigeriano è stato un maestro della parola scritta e della narrazione dove il dato realistico si intreccia all’elemento immaginifico. La Nave di Teseo ha appena pubblicato il romanzo La freccia di Dio (traduzione di Alberto Pezzotta, pp. 352, € 19,50), uscito in inglese nel 1964, sei anni dopo “Le cose crollano” (possiamo testimoniarlo, è un romanzo magnifico e sorprendente) e quattro anni dopo “Non più tranquilli” (del 1960), romanzi della “Trilogia africana”: un’opera che è un mondo intero dove però ogni libro può essere letto anche in modo indipendente dagli altri.

Esponente della ricchissima, multiforme e fervida letteratura nigeriana (il Nobel Wole Soynka viene da questa terra complessa e ricca di cultura), autore della letteratura anglofona detta post coloniale da terre prima soggiogate all’impero britannico e comunque al dominio occidentale, Chinua Achebe ha dato molto alla cultura letteraria: è morto nel marzo 2013 a 83 anni dopo aver pubblicato romanzi, raccolte di racconti e di poesie, oltre ad aver curato l’influente e ottima collana degli African Writers della casa editrice Heinemann. Adesso questa nuova traduzione completa in italiano la trilogia il cui perno è la vita e la società degli igbo, l’etnia di Achebe, travolti dalla colonizzazione e dal verbo cristiano che ha rimpiazzato spesso la religione dei padri e sconvolto credi e costumi.

“Ezeulu è il sacerdote di una divinità che rappresenta l’unità dei sei villaggi di Ulmuaro. È un uomo capace di giudizio e anche di una certa diplomazia, ma la sua autorità sta pian piano venendo meno di fronte alla minaccia degli altri: i bianchi funzionari del nuovo governo coloniale inglese. Non crolla però la sua sicurezza: è una freccia nell’arco di Dio, di questo è sicuro, e forte di tale convinzione si prepara a guidare il suo popolo, fino alla distruzione e all’annientamento, se sarà necessario”, recita la scheda editoriale

La trama
Ezeulu, il sacerdote del culto di Ulu di un gruppo di villaggi, ordina al figlio di andare a studiare nella scuola cristiana dei bianchi e rivelargli quanto vede. Ma la sua civiltà viene appunto dominata e stravolta dalla dominazione europea, quella cultura prettamente orale viene schiacciata gradualmente. Questo, e altro, narra Achebe in una storia dal linguaggio poetico ricco di influenze dalla cultura e dai miti igbo e al contempo capace di un inglese formale quando a parlare sono i colonizzatori anglosassoni. E da quel confronto, colonizzati e colonizzatori, la cultura dei primi priva di potere pagherà un prezzo alto.

Sapeva di cosa scriveva, lo scrittore. Nato nel villaggio Igbo di Ogidi, nella Nigeria orientale, una quarantina dopo l’arrivo dei primi missionari nella zona, Achebe fu battezzato come Albert Chinualumogu dai genitori convertiti al cristianesimo. Tanto che nel suo saggio autobiografico “Named for Victoria, Queen of England” scrisse che aveva “perso il suo Alberto” proprio come la regina Vittoria. E nella scuola dei missionari era vietato, a lui e agli altri bambini, parlare la lingua igbo e venivano spinti a dimenticare e abbandonare le loro tradizioni e modi di vivere perché “pagani”.

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