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L'antigerarchico Spalletti alla Juve che delle gerarchie ha fatto una religione

La squadra di Torino è un’occasione di riscatto personale, più che sportivo. Forse, un modo per chiudere il cerchio iniziato trent’anni fa a Empoli.

L'antigerarchico Spalletti alla Juve che delle gerarchie ha fatto una religione
Spalletti e Perin
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Marcello Cecconi Modifica articolo

1 Novembre 2025 - 15.27


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Luciano Spalletti torna dove non era mai stato. Dopo aver attraversato l’Italia pallonara dalle retrovie di C2 fino ai trionfi di Napoli, dopo le fughe e i ritorni, le pause e i ricominciamenti, il tecnico di Certaldo si è appena presentato come il nuovo allenatore della Juventus. Un paradosso solo apparente: l’uomo che ha costruito la propria carriera sfidando le gerarchie, entra nel club che delle gerarchie ha fatto una religione.

Spalletti è l’emblema del calcio che nasce lontano dai riflettori. Giocatore modesto, combattente silenzioso tra C2 e C1, ha chiuso la carriera nel 1993 a Empoli, dove il destino gli ha offerto la prima svolta. Appena un anno dopo, chiamato in fretta e furia per sostituire mister Donati nei play-out, salva i toscani dalla C2 e si guadagna la riconferma. È l’inizio di una scalata che ha del letterario, come si addice a un uomo cresciuto nel paese di Boccaccio: porta il piccolo Empoli fino alla Serie A, in un racconto di provincia che parla di lavoro, coerenza e visione.

Per vincere davvero, Spalletti dovrà emigrare. È a San Pietroburgo, con lo Zenit, che il toscano alza i primi trofei nazionali, dimostrando che le sue idee possono trionfare anche oltre i confini italiani. Lì costruisce una squadra moderna, fluida, capace di interpretare il calcio come movimento e pensiero insieme. Una specie di laboratorio tattico e umano, lontano dai salotti romani e dalle pressioni napoletane, ma utile per forgiare un allenatore “contadino” che ha sempre guardato più avanti del presente.

Il suo scudetto con il Napoli è stato una liberazione, più che un trionfo. Lo ha tatuato sulla pelle, ma nelle parole cerca di ridimensionarlo non solo per la permalosità dei tifosi juventini, ma perché vede la gioia come un fatto privato, quasi pudico. In fondo, Spalletti ha sempre vissuto il calcio come un mestiere di “cervello fino”, non di pancia. A Napoli ha restituito alla squadra e alla città un’identità, ha messo ordine nel caos, e al tempo stesso ha trovato la pace dopo anni di incomprensioni e conflitti, con l’ambiente, con la stampa, e infine con sé stesso.

Ora trova una Juventus stanca di cambiare pelle. Negli ultimi anni, la società bianconera ha vissuto un continuo ricominciare: dirigenti che passano, allenatori che ruotano, progetti che si accendono e si spengono in un’estate. Toccherà a Spalletti restituire una direzione, un’idea stabile. Il compito è enorme, ma il toscano di Certaldo ha fatto della costruzione lenta la sua arte.

Ieri, nel suo primo ingresso nello spogliatoio, accolto da Giorgio Chiellini e dall’elegantissimo Mattia Perin, Spalletti ha risposto al consueto “Tutto bene?” di quest’ultimo con “Dipenderà da voi.” Una battuta che è già programma del tecnico, toscano fino al midollo tanto da sbagliare spesso il presente con l’imperfetto dei congiuntivi. Un uomo diretto, ironico, ma lucidissimo nel ricordare che la felicità nel calcio è sempre una costruzione collettiva.

A sessantasei anni, Spalletti non ha più bisogno impellente di contratti: cerca conferme più che stipendi. Ha fallito con la Nazionale, e l’umiliazione di dirigere un’ultima partita già da esonerato resta una ferita fresca. Ma la Juve è un’occasione di riscatto personale, più che sportivo. Forse, un modo per chiudere il cerchio iniziato trent’anni fa a Empoli.

Forse spariranno le grandi cuffie riprese dalle tv mentre i giocatori salgono sull’autobus, forse anche i telefonini a tavola e sarà pugno duro per i ritardatari. I “comandamenti spallettiani” cominceranno da qui. Intanto stasera a Cremona, il debutto. È lecito attendersi qualche spostamento tattico immediato, anche se il cambiamento più atteso dal tecnico sarà l’atteggiamento. Questa la probabile formazione: (3-5-2): Di Gregorio; Kalulu, Rugani, Gatti; Cambiaso, McKennie, Locatelli, Koopmeiners, Kostic; Vlahovic, Openda.

Mancheranno Kelly e anche il turco Yildiz fin qui confinato sulla sinistra, ma che appena rimessosi tornerà probabilmente in una posizione più centrale diventando il fulcro del gioco bianconero. A destra spazio a Cambiaso e a sinistra forse fiducia ancora a Kostic mentre Koopmeiners potrebbe tornare in mediana. In attacco il tandem formato da Openda e Vlahovic sperando che quella rabbia produttiva del serbo dimostrata con l’Udinese abbia una continuità importante. A Cremona tornerà a disposizione anche Thuram che probabilmente, stasera, partirà dalla panchina.

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