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“Faceva caldo – io ero Ilaria Alpi”. Una storia di testimonianza, verità e giustizia

E' andata in scena, all’Università di Siena, la prima dello spettacolo teatrale in memoria di Ilaria Alpi, per la regia di Mila Moretti e l’interpretazione di Tiziana Scrocca. I messaggi di Mariangela Gritta Griner e di Giovanna Botteri

“Faceva caldo – io ero Ilaria Alpi”. Una storia di testimonianza, verità e giustizia
In foto Tiziana Scrocca
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30 Maggio 2022 - 11.09


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di Marialaura Baldino

Il 20 marzo di ventotto anni fa, a Mogadiscio, venivano assassinati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Un accadimento che sconvolse il mondo del giornalismo televisivo e non solo. Corrispondenti per il TG3, stavano indagando su presunti traffici di armi e di rifiuti tossici nella zona, collegati anche ai servizi segreti italiani e alle più alte sfere delle nostre istituzioni.

Il saluto della collega di Ilaria e Miran

La loro morte ancora oggi non trova risposta. Molte furono le incorrettezze durante le indagini; il processo di primo grado, l’appello, la Cassazione e poi ancora l’appello bis, fin anche alla commissione parlamentare d’inchiesta nel 2006.
Molti i depistaggi e molte anche le speculazioni sul rapporto e sul lavoro dei due inviati. Poca la chiarezza, la trasparenza su ciò che avvenne. Niente, a livello giuridico, è riuscito a disegnare la verità dei fatti accaduti in quel giorno di marzo di fronte l’ambasciata italiana in Somalia. Verità che però ai due giornalisti è costata cara.

Questo ha spinto la regista Mila Moretti a voler dedicare loro una pièce teatrale dal titolo “Faceva caldo (io ero Ilaria Alpi)”. Un bellissimo monologo che restituisce voce alla giornalista attraverso un testo nitido, tagliente, scomodo per alcuni versi, ma che fa luce sul suo lavoro e che fa riflettere. O come lo ha definito Mariangela Gritta Grainer – presidentessa dell’associazione Ilaria Alpi – “Un testo, un modo per ricordare le ingiustizie della Giustizia italiana”.

La Prima ha avuto luogo lo scorso venerdì, presso l’Auditorium del Santa Chiara Lab dell’ateneo senese. Una scelta questa presa non solo grazie alla collaborazione della regista con Maurizio Boldrini – docente di Storia del Giornalismo – ma anche per ricordare, come ha poi dichiarato il professore, quando nel 1995, “l’appena costituito corso di laurea in Scienze della Comunicazione decise di instituire una borsa dedicata alla giornalista, per incentivare il giornalismo d’inchiesta e ribadire la funzione etica del mestiere”. Cerimonia alla quale presero parte anche i genitori della Alpi.

Il pomeriggio si è aperto non solo con il saluto della presidentessa Gritta Grainer, ma anche con un video messaggio da parte della corrispondente da Parigi Giovanna Botteri, la quale ha rivolto un invito ai giovani – e non – presenti in sala. “Quello che Ilaria e Miran ci hanno insegnato è di lavorare con onestà, con trasparenza, per poter creare le strade della verità, aperte a tutti. Il loro è un messaggio che spinge a continuare a costruire. Cercate di trovare sempre la forza, il coraggio per vedere il futuro e il cambiamento anche quando tutto sembra buio e difficile. Costruite la verità, la pace e pensate che tutto quello che è stato fatto da colleghi, da amici come Ilaria e Miran è stato fatto anche per voi, affinché il futuro e la vita vi siano più leggeri”.

E’ dopo questa introduzione che il sipario si alza e Ilaria Alpi – interpretata magistralmente da Tiziana Scrocca – entra in scena. “Mi mandano in tv ora, mi mandarono in missione allora”. Apre così il monologo, commentando, sullo sfondo, le immagini di Flavio Fusi, che in quel pomeriggio del ’94, con un’edizione straordinaria del tg3, diede la notizia della morte dei due colleghi.
In scena anche l’inconfondibile sciarpa bianca, segno distintivo della Alpi, che si vede affranta dalla vergogna del suo paese. “Chiedetelo a loro, chiedetelo agli esperti chi ha ucciso Miran e me!”. Una domanda che rivolge agli italiani, al governo, ai capi, a chi Taormina fa solo di cognome. A chi negli anni, speculando sul loro rapporto, li aveva definiti fidanzati.

“Fidanzati?! NO! Compagni nella lotta”.

Un racconto che trascina lo spettatore nel lavoro della Alpi, che era andata alla guerra “con una buona dose di coscienza incosciente”.
E poi la Somalia, il traffico di armi, il denaro che lei definisce carta sporca, carta infetta. Non come quella dei libri e di giornali. Fino al click-boom-dead.

Una professionista derubata anche dopo la morte, quando, trasportata dall’Ammiraglia Garibaldi, ha visto sottrarsi i suoi preziosi taccuini rossi pieni di nomi, di fatti, persone e pieni di corruzione. “Il sequel delle porcate commesse, da voi che volete coprire le vostre nefandezze”.

Ma lei e Miran non ci stanno. Si costituiscono parte civile a favore della verità. Perché deve terminare l’idea che un giornalista che ricerca il vero possa essere definito corruttibile, o che la sincerità, lasciataci da loro in eredità, possa essere messa a tacere attraverso un’esecuzione.

Questa pièce non è quindi altro che il racconto di due coraggiosi ricercatori della verità e del loro “fidanzamento ufficiale” con essa. Una verità che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin hanno sempre inseguito, fino alla fine.

Grande e sentito l’applauso finale, accompagnato dal testo canzonato della Spigolatrice di Sapri.
La regista, a chiusura, ha così commentato: “E’ Ilaria che si è fatta testo. E in sua memoria abbiamo lavorato con Tiziana per renderle giustizia.”
Una costruzione teatrale tutta al femminile, che ha permesso a due professioniste di mettersi in gioco per raccontare una delle pagine più buie della Giustizia e del giornalismo italiano.

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