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“Perché non ci indigniamo”. Paolo Mancini ha presentato il suo saggio all’Università di Siena

Corruzione, inciviltà politica e mediatica. Si è dibattuto sulla cultura della contrapposizione dove la politica, anziché essere una “religione civile” guidata dall'ideale del bene comune, enfatizza discordie e contrasti

“Perché non ci indigniamo”. Paolo Mancini ha presentato il suo saggio all’Università di Siena
Il Prof. Paolo Mancini mentre parla all'Università di Siena
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9 Aprile 2024 - 16.12


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di Lorenzo Lazzeri

L’Italia è davvero un paese che non sa indignarsi di fronte alla corruzione? È la domanda che emerge nell’aula dell’Università di Siena durante il corso di Giornalismo e Nuovi Media tenuto dalla docente Rossella Rega. Qui Paolo Mancini, direttore del Centro di Comunicazione Politica a Perugia e autore di numerosi saggi sul rapporto tra media e politica, ha presentato il suo ultimo lavoro “Perché non ci indigniamo” (2023, Rubbettino Editore, p. 164, € 16,00)

La presentazione ha animato un dibattito a più voci, guidato dalla stessa Rega, con intervento di docenti esperti di ricerca politica come Paolo Bellucci, di sistemi mediali digitali come Rita Marchetti, di opinione pubblica come Pierangelo Isernia e di storia del giornalismo come Maurizio Boldrini. Mancini ha ben sintetizzato le osservazioni che scaturiscono dai dati preoccupanti sulla percezione della corruzione nel nostro Paese.

Ha aperto, così facendo, al dibattito sulla realtà italiana definita avvolta in una nebbia di forte contrapposizione dove la politica, anziché essere una “religione civile” che unisce sotto l’ideale del bene comune, enfatizza discordie e contrasti. Dalla discussione è emerso che questa è una pratica che si concretizza attraverso un sistema mediatico con l’opinione pubblica che da un lato se ne nutre e dall’altro lo alimenta con contraddittoria schizofrenia.

Ecco che l’Italia appare, così, un Paese che viaggia verso la cattiva gestione della cosa pubblica ma il “tribunale” dell’opinione pubblica sembra perdonare corrotti e corruttori, innalzandoli, talvolta, persino a rappresentanti del popolo. È proprio questa la dinamica che ha spinto Mancini a esplorare, nel saggio, le ragioni di una tale tolleranza verso la corruzione e l’assenza di un’indignazione collettiva di fronte a questo stato di cose.

Non solo Italia. Nell’analisi dello studioso e nel dibattito che ne è seguito c’è uno sguardo che si è esteso oltre confine evidenziando una tendenza globale verso società sempre più polarizzate, con riferimento ai fenomeni continentali di Orban e Putin.  E, alzando ancora lo sguardo, non è mancato un approfondimento sul caso statunitense di Trump, quello indiano di Narendra Modi e quello del Brasile di Bolsonaro. Tutti esempi di politica in contrapposizione che vivono sulla “costruzione di un nemico” e che accentrano il potere attorno a singoli personaggi inquinando la vera democrazia.

E gli anticorpi? “Non sta a noi inventare l’antibiotico contro la corruzione e il male, ma alla politica”. Mancini ammette di non avere soluzioni definitive su come invertire questa tendenza e l’intento, alla base del saggio, non era quello di fornire soluzioni, ma piuttosto di stimolare discussioni e anche una riflessione sulla possibilità che un radicale rinnovamento sociale ed educativo potrebbe essere la chiave di inversione.

Il dibattito ha fatto riflettere, in particolare, su come l’obiettività e l’imparzialità stiano diventando un’eccezione nel panorama mediatico e su come stia diventando fondamentale per l’opinione pubblica sforzarsi di comprendere questa trappola della disinformazione. È un invito all’impegno attivo alla verifica delle informazioni, impegno troppo spesso ostacolato da limiti di tempo e capacità.

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