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Nel Bunker sotterraneo con Massini, come a Kiev

Massini ha centrato l’obiettivo nel creare una performance fisica, emotiva e sensoriale nei sotterranei del Teatro della Pergola. Il brano di Pero Pelú risuona nel finale.

Nel Bunker sotterraneo con Massini, come a Kiev
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7 Marzo 2023 - 12.16


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di Irene Perli

Si capisce subito che Bunker Kiev non è uno spettacolo convenzionale: per accedere non si attraversano le imponenti colonne di marmo dell’ingresso del Teatro della Pergola, bensì si passa da una piccola porta qualche metro più avanti, una di quelle che solitamente rimangono chiuse, diventando quindi invisibili anche se presenti. L’interno è scarno e addentrandosi nei sotterranei del teatro le pareti diventano più strette e la luce si affievolisce: lo spettatore viene così preparato per il vero palcoscenico.

Ad accoglierci è Stefano Massini, ideatore, drammaturgo e direttore artistico dell’opera, che ha già preso posto seduto, ad aspettare, con il testo in mano. E allora ci sediamo tutti insieme su alcune panche di legno in pochi metri quadrati che sembrano una prigione di pietra. Ecco, questo è il palcoscenico: un bunker nel cuore di Firenze nel quale molte persone si sono rifugiate durante gli attacchi arei nella Seconda Guerra Mondiale.

L’allarme oggi ha suonato di nuovo. Qua sotto c’è posto per trenta persone. Ti guardi intorno e in tutta Kiev ci sono 4984 bunker”. Inizia così il testo di Massini, creato dalla ricerca di testimonianze di coloro che ancora oggi hanno solo tre minuti per scendere in un Bunker della capitale ucraina appena suona la sirena. Le parole trasudano verità scomode, lontane dalla nostra quotidianità fatta di lavoro e di serie tv alla sera. A Kiev non è così. Immaginate di star facendo la spesa: suona l’allarme antiaereo. Allora tutti iniziano a correre, a colpire con forza chiunque rallenti la fila. L’uomo si snatura; esce la bestia che vuole sopravvivere e tutto ciò che brama in quei tre minuti è entrare nel rifugio. Ma una volta dentro, tutti non vedono l’ora di uscire; quella parentesi di tempo indefinita in cui è necessario stare sottoterra, nel mondo in cui nessuno transita fatta eccezione per l’acqua piovana che scende nei tombini, potrebbe essere la fine della loro vita.

Il testo è una dicotomia continua che alterna il mondo della superfice e quello dei bunker sotterranei e ad ogni cambio narrativo si ritorna alla frase iniziale alternando i soggetti che raccontano e che vivono il bunker. Massini si giostra in modo magistrale nei racconti di come si vive nel bunker, sottolineando l’ossessione per i dettagli delle persone che ti stanno attorno, per capire chi fra loro rappresenta l’anello debole del gruppo. E’ una cornucopia di disumanizzazione e paura che viene percepita durante lo spettacolo sia grazie agli effetti sonori di Andrea Baggio, che simulano un ambiente sotto attacco facendo percepire l’esplosione delle bombe non dalle orecchie ma dallo stomaco, sia dalle interazioni che il regista ha con il ristretto gruppo di persone che posso partecipare allo spettacolo, che per questa settimana è già tutto sold-out.

Non esiste la quarta parete che divide il pubblico dagli attori: Massini, infatti, siede insieme al gruppo e interagisce trasformando gli spettatori in attori, in rifugiati, facendogli intonare canti per sovrastare il rumore delle bombe che esplodono, proprio come accade nei sotterranei di Kiev. La sua performance ha delle peculiarità quali la ripetizione della frase iniziale, dei climax di intensione nei momenti cruciali del testo, delle pause che tengono lo spettatore sul limbo della suspense, proprio prima che scoppi un’altra bomba. Si nota, quindi, un uomo che crede fortemente nel potere del teatro, un drammaturgo che, attraverso il suo testo e la sua esecuzione, ha fatto percepire a chiunque la pesantezza e la brutalità della guerra.

Bunker Kiev è un’esperienza sensoriale e fisica che fa affiorare emozioni che non si credeva di poter avere: dalla preoccupazione per i propri cari che al momento della sirena possono essere altrove, alla bestialità innescata dal sentimento di sopravvivenza, fino a quella strana coesione e affinità sempre diversa che si prova quando un gruppo di sconosciuti diventano il tuo punto di forza. I compagni di bunker si tramutano in alleati che cercano in qualche modo di allietare la permanenza nei sotterranei, anche se, poco prima, gli stessi sconosciuti si sono malmenati per entrare. Questa performance vuole rappresentare una parentesi temporale che, come tutte le parentesi, deve essere chiusa in un modo o nell’altro, con la vita o con la morte.

Le aspettative sono state soddisfatte, anche per il brano di Piero Pelù, che ha concluso lo spettacolo. Ciò che è stato annunciato sia in conferenza stampa, che sul sito della Pergola rispecchia la validità e la profondità della performance che è Bunker Kiev.

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