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Bonisoli toglie l'autonomia all’Accademia di Firenze, Villa Giulia e Appia antica. Nardella contro

Passa la riforma dei beni culturali: più potere al centro. Il sindaco fiorentino: "Riforma pasticciata, ministro la ritiri"

Bonisoli toglie l'autonomia all’Accademia di Firenze, Villa Giulia e Appia antica. Nardella contro
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21 Giugno 2019 - 10.06


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Ste. Mi.

Una mezza picconata senza dire apertamente che è una picconata. Il ministro per i Beni e attività culturali Alberto Bonisoli ha avuto il benestare del consiglio dei ministri, come rivela l’Ansa, alla sua riforma: toglie autonomia a tre musei nazionali a cui l’aveva riconosciuta la riforma del predecessore Dario Franceschini. I musei dimezzati sono la Galleria dell’Accademia a Firenze (autonoma fin dalla prima mandata del 2014), il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia e il parco archeologico dell’ Appia antica a Roma. Diversamente dalle bozze circolate il Castello con parco di Miramare a Trieste non è incluso nella lista, quindi può gestire i propri fondi, mentre inizialmente era tra le istituzioni destinate a perdere l’autonomia. Mantiene il medesimo status anche il Museo delle Civiltà a Roma che comprende istituzioni come il Pigorini ed era nel mirino della riforma. Ma se, come si vocifera, il ministro eliminerà i consigli di amministrazione dai musei autonomi o toglierà loro il potere di decidere la gestione dei soldi, allora la riforma verrà svuotata di fatto.

Giuliano Volpe, archeologo e presidente emerito del Consiglio superiore dei beni culturali, che ogni tanto citiamo perché una delle figure più attente all’impalcatura del dicastero, ha definito la bozza della riforma un “pasticcio”. Non è un tecnico mosso da pregiudizi: come tanti, aveva salutato con favore il percorso tracciato da Bonisoli che ha voluto ascoltare ogni categoria interessata. “Per la prima volta nella storia del Mibac, il processo che ha portato alla rielaborazione di questo decreto – rivendica Bonisoli in una nota stampa – ha avuto un percorso partecipato e concertato, cominciato mesi fa. Prima della stesura definitiva sono stati riuniti e ascoltati sindacati, dirigenti, associazioni, terzo settore il cui parere è stato tenuto in ampia considerazione e con cui è stata definita una precisa road map che si è chiusa con la firma del presidente del Consiglio dei Ministri ieri sera”.

Vero. Franceschini ha commesso l’errore capitale, nella sua riforma, di procedere dall’alto senza consultare i tecnici del ministero. Di conseguenza il suo impianto è stato criticato con molta durezza anche per questo, oltre che per l’impostazione della riforma. Avendo reimpostato il meccanismo del dicastero, un riaggiustamento era naturale. Ma il risultato odierno pare confuso. A Firenze, per esempio, mantengono giustamente l’autonomia il complesso guidato dagli Uffizi e quello del Bargello, mentre l’Accademia diretta da Cecilie Hollberg (in scadenza dopo quattro anni), resta uno dei musei più visitati d’Italia e non appare affatto chiaro perché penalizzarla. Il nuovo direttore dell’Appia Antica Simone Quilici è fresco di nomina, da aprile: non trattandosi di schizofrenia, il ministero non diceva cosa faceva al ministero stesso? E i giudizi sul direttore di Villa Giulia Valentino Nizzo sono lusinghieri. 

Accentramento. Con la riforma Bonisoli il corpo centrale del ministero, a Roma, ha ancora più forza e potere, mentre sarebbe stato bene dare più forza ai territori. Ha più potere il Segretariato generale di Giovanni Panebianco, ex ufficiale della Guardia di Finanza e ex dirigente della Presidenza del Consiglio, ritenuto da molti la vera mente dell’impalcatura ora architettata.
La parte centrale del ministero acquista più potere perché, fa sapere l’ufficio stampa stesso del dicastero, nascerà “una direzione che si occuperà esclusivamente di contratti per regolamentare l’attuale caos delle stazioni appaltanti”, stazioni appaltanti gestite finora dai segretariati regionali. I quali segretariati andavano sicuramente riformati, ma trasferire ogni decisione a Roma significa accentrare.

Nardella: “Riforma pasticciata, superficiale, ministro la ritiri”
Contro questa riforma messa in atto in sordina si scaglia nel pomeriggio di venerdì 21 il sindaco di Firenze Dario Nardella: “Sono preoccupato, è pasticciata, superficiale, poco condivisa. Caro ministro ritiri il suo decreto, riapra un confronto vero non solo con il mondo del lavoro nei musei ma anche con gli amministratori locali, i presidenti di Regione, le istituzioni, la cittadinanza e la società perché penso che per la riforma di un ministero si debbano ascoltare tutte le voci e prendere in esame tutti gli aspetti”. Il primo cittadino della città d’arte, a guida Pd, boccia la manovra del ministro pentastellato: “Questa riforma appesantisce la burocrazia statale, riaccentra molte funzioni, cancella le cose buone emerse nelle riforme precedenti, mette a rischio il rapporto fra le amministrazioni locali e i musei autonomi, indebolisce nel complesso il sistema sul territorio. Mi dispiace molto che il ministro non abbia trovato il tempo di parlare almeno con i sindaci delle città d’arte più importanti”.

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