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Le classi-pollaio di oggi e un’aula ideale del Duecento con pareti verdi, scale agevoli e finestre sulla natura

Nel XIII secolo Boncompagno da Signa, che aveva insegnato nelle università di Bologna e di Padova, parlò dei requisiti che avrebbe dovuto avere un edificio scolastico tracciava un programma che lascia stupefatti

Le classi-pollaio di oggi e un’aula ideale del Duecento con pareti verdi, scale agevoli e finestre sulla natura
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Gabriella Piccinni Modifica articolo

26 Gennaio 2021 - 15.12


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Con orrore, durante un anno di lockdown ormai quasi compiuto, abbiamo osservato crescere i danni – fisici, culturali e mentali – che provoca nei più giovani la lontananza della scuola. Li abbiamo visti ‘spiaggiati’ nei loro letti con il computer sulle ginocchia, ingobbiti come cremini che stanno per squagliarsi fuori dal frigorifero, addormentati con la testa sul tavolo di cucina e la professoressa che parla e parla e parla. Felpa in alto e pantaloni del pigiama in basso. Soli e struffati. Dimentichi di come si fa ad arrancare verso la scuola con lo zaino sulle spalle. Impossibilitati a occhieggiare il compagno di classe, la ragazzina di due banchi più là. Li abbiamo compresi, perdonati, scossi e strapazzati durante i lunghi e duri mesi della pandemia galoppante, a scuole chiuse.

Poi si è cominciato a riaprire e abbiamo tirato un respiro di sollievo. Si torna alla scuola, a guardarsi negli occhi, a comprare la merenda, a contestare l’insegnante, a divertirsi e ad annoiarsi. 

E’ durata poco perché è tornato l’orrore non appena abbiamo dovuto constatare che si doveva ancora combattere contro le aule-pollaio. Vi rendete conto di ciò che diciamo? Solo accostare la parola pollaio con la parola scuola provoca sentimenti di ripulsa in chi abbia un po’ di senso civico. Purtroppo l’espressione è evocativa di quella che è la verità della scuola ‘normale’: non ovunque ma in molti luoghi sì ragazzi addossati gli uni agli altri, come pulcini, pollastri e gallinelle, in luoghi angusti, inadatti alla loro salute fisica e mentale e alla loro crescita culturale. Inadatti quasi quanto l’isolamento domestico. A casa troppo pochi, in aula troppi. Perciò anche se di segno opposto l’orrore è identico.

Eppure in Italia eravamo partiti bene. Agli inizi del XIII secolo il professore di retorica Boncompagno da Signa, che aveva insegnato nelle università di Bologna e di Padova, disquisendo sui requisiti che avrebbe dovuto avere un nuovo edificio scolastico tracciava un programma che lascia stupefatti per ricerca la qualità della vita in aula e per l’attenzione agli studenti e al loro apprendimento. Si deve scegliere, scrive Boncompagno, un luogo lontano dal mercato in cui l’aria sia pura, dove non si senta il chiacchiericcio provenire dalle strade, il rumore dei cavalli, l’abbaiare dei cani. E niente polvere nell’aria. Un unico ingresso e scale che si possano salire comodamente. Ambienti ampi, con le aule al piano superiore, pareti verniciate di un riposante colore verde, soffitti alti. L’insegnate deve stare seduto più in alto degli allievi per essere ben visto. Niente immagini alle pareti che possano distrarre ma grandi finestre che permettano di osservare alberi, orti e frutteti perché quella vista aiuta la memoria e l’apprendimento. 

Questi magnifici criteri non saranno stati tutti rispettati ma un centinaio di anni dopo nell’aula che si apre nella città ben governata degli affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti vediamo un soffitto alto, un affaccio ampio sulla strada e la cattedra del maestro rialzata. Soprattutto l’istruzione ha un ruolo importantissimo nel messaggio che chi governa affida al pennello dell’artista: e cioè che una società e un’economia che vogliono funzionare – come mostrano le attività che si svolgono nelle botteghe vicine, del calzolaio, del pizzicagnolo o del lanaiolo – devono farsi accompagnare dalla crescita culturale, perché la dolce vita (così la chiamano, qualche secolo prima di Federico Fellini, quella della città dove le cose funzionano) ha bisogno di lavoro ma anche di gente istruita, che allora sono notai, scrivani, uomini di legge, maestri, medici. E anche commercianti, perché, anche prima di spostarli a fare pratica presso qualche magazzino o azienda in qualche parte d’Europa, è necessario avere luoghi adeguati dove i giovani ricevano una cultura, meglio se di livello superiore, che li prepari in modo molto largo al commercio, all’amministrazione, alla conoscenza della legge, agli affari, alla politica, alla vita civile.

Certo tra l’idea, il progetto, la rappresentazione e la concreta realtà ci sarà stata, anche allora, la sua bella distanza. Tuttavia c’è di che meditare, ancora volta, sui materiali che offre il passato.

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