Se da un lato ci sono i NEET (Not in education, Employment or Training), ovvero dei giovani che non studiano e non svolgono alcuna attività lavorativa, dall’altro ci sono gli ELET (Early Leaver From Education and Training), ossia tutti quei ragazzi che hanno abbandonato prematuramente il loro percorso di studi e di formazione. In Italia, si conta un alto abbandono scolastico: il 12,7% dei giovani si è fermato alla licenza media. Questo è il dato fornito da Eurostat. È un disastro, se consideriamo che siamo davanti solo a Romania e Spagna.
Tra le varie cause, va preso in considerazione il sistema educativo italiano, che offre una didattica e programmi molto ancorati al passato e alla tradizione, ma al contempo acerbi e poco pronti all’aprirsi all’innovazione digitale. Lo spiega Pietro Dipalo, manager con un’esperienza di oltre 20 anni nel settore della formazione di alto livello. In un’intervista riportata sull’Agi, l’esperto dichiara come il digitale sia ormai parte integrante della nostra vita quotidiana e questo ha finito con l’influenzarne ogni aspetto, compreso il modo di apprendere, di ragionare e studiare delle nuove generazioni.
“Fino ad oggi il mondo dell’istruzione ha fatto riferimento al modello classico, adattandolo al modello digitale. Non c’è stata una vera e propria transizione. Oggi c’è la necessità, in primo luogo, di creare contenuti con lo scopo di massimizzare l’apprendimento dello studente e migliorare la sua “user experience”. La richiesta va nella direzione della flessibilità, si ricerca cioè la possibilità di adeguare la formazione alle proprie esigenze personali. Si ricerca un modello di apprendimento capace di far adattare il metodo di studio alle proprie esigenze cognitive; l’obiettivo è una maggior efficacia nello studio e maggiore fiducia nelle proprie capacità”, ha dichiarato.