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Kappler ed Eichmann, nazisti che furono protetti e non si pentirono

Una ricerca rivela i privilegi goduti da Kappler in Italia, un romanzo ricorda il rammarico di Eichmann per l’Olocausto incompiuto. Il 6 settembre è la Giornata dalla cultura ebraica

Kappler ed Eichmann, nazisti che furono protetti e non si pentirono
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5 Settembre 2020 - 12.13


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I criminali nazisti, i gerarchi, non si pentirono mai delle atrocità commesse. Neppure nella vecchiaia. Non avessero perso, le avrebbero commesse di nuovo. E dopo l’ultima guerra hanno goduto di protezioni e trattamenti privilegiati. Domani 6 settembre è la Giornata Europea della Cultura Ebraica, il Meis – Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah a Ferrara ricorda che il giorno corrisponde al 17 di Elul del calendario ebraico e annuncia una giornata a ingresso gratuito (tranne gli ingressi all’arena a 2 euro e alla mostra permanente a 5 euro) ricca di appuntamenti (clicca qui per il sito).

Per questa ricorrenza converrà ripensare anche alle sorti dei gerarchi nazisti dopo la Seconda guerra mondiali. Sorti spesso tutt’altro che amare. Anzi, talvolta vergognosamente lievi e addirittura privilegiate. Come nel caso del boia Herbert Kappler che nel carcere a Gaeta godette di privilegi di alto rango offensivi verso il genere umano, come nel caso del gerarca Adolf Eichmann che riparò in Argentina e lì rimase tranquillo sotto falso nome e protetto finché gli agenti Mossad israeliano non lo rapirono a Buenos Aires il 10 maggio 1960 per portarlo a Gerusalemme e processarlo.

Che questi due criminali abbiano goduto di uno status privilegiato e protetto lo ricorda un libro e lo dimostra una ricerca storica in corso di cui ha dato notizia di recente Repubblica sia nelle pagine culturali del quotidiano (il 30 agosto) che nell’inserto Robinson (il giorno prima, il 29 agosto). L’indagine in corso di cui ha dato notizia Clemente Cristilli è dello storico Nicola Ancora ed è su Kappler, “l’uomo che dettò a Erich Priebke la lista degli italiani da decimare in via Rasella”, ovvero la strage delle Fosse ardeatine a Roma e che, per inciso, morì tranquillamente in Germania nel 1978 dopo una fuga dall’Italia nel 1977 grazie alla moglie con il probabile aiuto di servizi segreti italiani deviati.
“Le più recente scoperte dicono che Kappler, come l’altro criminale nazista detenuto nel castello angioino di Gaeta, Walter Reder, aveva a sua completa disposizione una spaziosa stanza con terrazza vista sul golfo, ambienti ristrutturati di fresco, con bagno privato, riscaldamento (una stufa elettrica), una macchina da scrivere, abbondante cancelleria, piante ornamentali”. Non bastava: due acquari con pesci tropicali, una libreria, suonava il violino, faceva il bagno in mare, aveva per sé l’attendente militare, cameriere in divisa, si faceva cucinare pasta alla carbonara, riceveva visite di politici austriaci. “Fu una detenzione dorata”, sottotitola il giornale.

Quanto ad Eichmann, Susanna Nirenstein scrive sul romanzo di Ariel MagnusL’esecutore” (Guanda, pp. 256, euro 18, traduzione di Giuseppe Cacucci). Ricorda la giornalista: “L’ex tenente colonnello nazista aveva messo tutte le sue capacità nell’assicurarsi che, dovunque nell’Europa occupata dai nazisti, gli ebrei fossero catturati, concentrati nei ghetti e trasportati nei campi di sterminio per essere uccisi (il diario del direttore di Auschwitz Rudolf Hoss l’aveva chiamato in causa molte volte, del resto)”. Magnus, giornalista e scrittore argentino nato nel 1975, nipote di una sopravvissuta, in forma narrativa racconta gli ultimi due anni argentini del gerarca cercando di interpretarne la personalità.
Al di là del romanzo, interessa mettere qui in risalto un passaggio di Susanna Nirenstein: Magnus nel  romanzo “cita di fatto il materiale che Bettina Stangneth nel suo La verità del male” compresi i nastri registrati con interviste ad Eichmann di un collaboratore nazista esule anch’egli in Argentina. Ebbene: quei nastri “mostrano quanto Eichmann fosse ideologicamente coinvolto da Hitler e dall’antisemitismo, negasse con sbruffoneria l’evidenza, quanto non avesse mai mostrato rimorso se non quello di non aver finito il lavoro”. Quando qualcuno, oggi, in Italia, sui social o a voce, invoca i forni crematori per gli ebrei e magari altre minoranze, anche se finge o crede di scherzare rimanda ad Eichmann e al suo immondo rammarico. Giusto perché lo si sappia e si ricordi.

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