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“Libri da asporto” per librerie indipendenti contro le ferite da Coronavirus

Un lodevole servizio a domicilio sostenuto dagli editori senza spese per chi compra. Le catene librarie denunciano tempi bui: meno 50% di titoli venduti

“Libri da asporto” per librerie indipendenti contro le ferite da Coronavirus
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30 Marzo 2020 - 13.48


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Dalla Cibrario di Aqui Terme alla Straffi di Viterbo (nell’ordine alfabetico delle località), alla mattina del 30 marzo ben 326 librerie indipendenti hanno aderito a un progetto lanciato online dalla chiusura da Coronavirus che chissà non possa proseguire: “Libri da asporto”. Partecipano poco meno di cinquanta editori (sempre al 30 marzo mattina), piccoli e grandi. Invece della pizza un libro? Già.

Riprendiamo le parole del sito perché sono molto chiare: “L’obiettivo di questo progetto è dare supporto alle librerie indipendenti e non appartenenti a gruppi editoriali (e che non svolgono già un servizio di vendita online) in questo momento di grande difficoltà. L’iniziativa è sostenuta da alcuni editori, con una raccolta fondi che servirà a coprire le spese di trasporto delle librerie ancora operative, affinché possano fare consegne a domicilio senza farsi carico di alcun costo aggiuntivo di spedizione”. Nelle librerie, vale rammentarlo, un lungo periodo senza vendite equivale a un lungo periodo senza guadagni per sopravvivere.

Clicca qui per il sito Libri da asporto

Librerie indipendenti a rischio crollo da Coronavirus. Le proposte per resistere

Il servizio quanto mai lodevole è fornito dalla società NW Consulenza e Marketing Editoriale, diretta da Enrico Quaglia: come detto sopra, i corrieri prenderanno i libri dalle librerie e li porteranno ai clienti senza che né chi vende né chi compra debba pagare le spese di trasporto. Il servizio viene pagato dagli editori tramite una raccolta fondi e prosegue almeno finché questi fondi saranno in cassa.

Le vendite crollano anche nelle catene
Mentre questi avamposti della cultura e dello scambio civile tentano di resistere, le notizie dalle librerie delle catene imprenditoriali (anch’essi luoghi di cultura, non dimentichiamocelo) devono allarmare. Niente più lanci editoriali, niente più presentazioni con gli autori, il panorama si è fatto un deserto. Forse venderanno più titoli i supermercati (dove la selezione è limitata e votata quasi esclusivamente allo svago o al bestseller e all’editore da grosse tirature), ma negli esercizi riservati alla pagina scritta i primi dati sono pessimi. Riferiva giorni fa all’Ansa Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol-GeMS che comprende parte marchi editoriali come Bollati Boringhieri, Chiarelettere, Corbaccio, Garzanti, Guanda, Longanesi, Nord, Ponte alle Grazie, Salani, Tea, Vallardi, che nella prima settimana di chiusura da Coronavirus le librerie hanno perso il 35% e che i dati successivi sarebbero stati peggiori.

Pure l’amministratore delegato di Mondadori Libri (Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Sperling & Kupfer, Piemme e Mondadori Electa) Enrico Selva Coddé nel lancio dell’Ansa
stimava un crollo del mercato del libro intorno al 50% non compensato dalla “gdo” (la grande distribuzione organizzata, quindi supermercati e discount) né dalle vendite tramite l’e-commerce che è in “in comprensibile affanno per sovraccarico logistico”.
Secondo Mauri “se a maggio riapriranno le librerie molte aziende ce la possono quasi fare con strumenti ordinari, se si va oltre ci vuole la cura Draghi”.

Intanto le previsioni dell’Associazione italiana editori – Aie sul 2020 sono già fosche: 18.600 libri in meno pubblicati, pari a 39,3 milioni le copie che non vanno in stampa, e ben 2.500 i titoli che non verranno tradotti colpendo quindi anche chi per lavoro traduce, una categoria già pagata poco.

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