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Shoah: alle politiche dell’odio si risponde con la conoscenza e le emozioni

Contro l’indifferenza occorre sapere ma servono anche servono esperienze per generare empatia verso chi è vittima di razzismo e antisemitismo

Shoah: alle politiche dell’odio si risponde con la conoscenza e le emozioni
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27 Gennaio 2020 - 09.25


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Antonio Salvati

Nel XXI secolo, l’antisemitismo in Europa e in Italia cresce ancora. Com’è possibile dopo la Shoah? Siamo in un periodo delicato per l’Italia. Rischiamo di sprofondare nella politica dell’odio e della paura al governo. La diffusione dell’incitamento all’odio nei mass media e in particolare sul web – strumento insostituibile di informazione – preoccupa per la trasversalità e la capacità di alimentare in modo nuovo tribalismi, aggressività generalizzata, razzismi al plurale. Dalla paura nella solitudine di massa, alla fiducia in un capo, che mi protegga di fronte a un mondo cattivo, il passo è breve.

Nella storia del XX e XXI secolo, le politiche dell’odio hanno accompagnato conflitti, guerre e persecuzioni di minoranze o intere popolazioni. Come ha scritto Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio a Roma, la cultura dell’odio è connessa al nazionalismo, e, come ha osservato Umberto Eco, la costruzione di un’identità nazionale e la sua diffusione tra i popoli necessita di creare un nemico. Lo sterminio degli armeni da parte della Turchia ha rappresentato un modello per l’Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti. In anni recenti, la lezione della propaganda di massa del nazionalsocialismo ha fatto scuola in Cambogia, in Rwanda e in molti altri paesi. In Italia, nel 1938 abbiamo avuto le leggi razziste e antisemite di Mussolini. Durante la Shoah furono deportati dall’Italia e dalle zone sotto controllo italiano più di 8.500 ebrei: ne tornarono poco più di mille. In Italia altri 300 ebrei furono uccisi. E alla loro cattura collaborarono i delatori italiani e i fascisti.

La memoria dovrebbe aiutarci, ma non sempre è così. L’antisemitismo non è morto. Si pensi al recente attacco che ha ucciso due persone a Halle, in Germania, condotto da un giovane neonazista, Stephan Balliet, che ha tentato di fare una strage nella sinagoga. L’Osservatorio antisemitismo del Centro di documentazione ebraica contemporanea ci segnala la crescita di episodi di antisemitismo.

La risposta all’odio è più cultura, più conoscenza e più amicizia con l’ebraismo, spiega Riccardi. La Chiesa cattolica e la scuola possono fare molto. C’è bisogno di aprire nuovi percorsi di amicizia tra ebrei e cristiani, di far crescere i tanti rapporti che si sono intessuti in questi ultimi decenni, in particolar modo a partire dal Concilio Vaticano II, con la Dichiarazione Nostra aetate. L’amicizia tra ebrei e cristiani è un contributo fondamentale all’educazione dei giovani. Sul versante dell’educazione Milena Santerini, la neo coordinatrice per la lotta contro l’antisemitismo, ha sostenuto che “occorre una strategia su più fronti contro l’antisemitismo e l’escalation di odio e discriminazione, che coinvolga scuola, social media, educazione”.

La formazione ha, in modo particolare in questo caso, il compito di un “rischiaramento” e di una comprensione razionale dei fenomeni per evitare visioni fantasmagoriche, misteriose e cospiratorie. Tuttavia, gli aspetti cognitivi non sono sufficienti a contrastare pregiudizi e stereotipi. Per questo servono strategie multidimensionali che uniscano conoscenza ed emozioni, pensiero critico ed esperienze. In tal senso, va rafforzato tutto ciò che concerne l’aspetto esistenziale, il confronto con individui e storie, la personalizzazione, le testimonianze. La comprensione dei meccanismi del pregiudizio e della discriminazione deve essere accompagnata sempre dall’azione e dall’impegno. La partecipazione e l’empatia verso chi è vittima di razzismo e antisemitismo va sviluppata in un agire concreto, che non permette l’indifferenza.

“Una pace futura potrà essere veramente tale solo se ogni uomo sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore”, scriveva Etty Hillesum, giovane ebrea olandese uccisa ad Auschwitz.

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