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"Cambiamento"

Termine usato e abusato nei programmi di tutti i partiti politici

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redazione Modifica articolo

2 Novembre 2022 - 10.48


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di Giuseppe Rizza

L’etimologia della parola «cambiamento» rimanda esplicitamente al termine «movimento». «Cambiare» proviene dal verbo greco kàmptein, che può essere tradotto con «curvare, piegare, girare intorno». Perché effettivamente il cambiamento è un percorso tortuoso, quasi come una curva che mostra un pezzetto di strada poco alla volta. Bisogna spostare lo sguardo verso una nuova direzione senza voltarsi indietro: invertire la rotta richiede, innanzitutto, un atto di consapevolezza e poi tanta determinazione.

Da qui all’uso che della parola “cambiamento” se ne fa nel linguaggio della politica il passo è breve. Spesso, nel nostro Paese, si riduce questo termine viene abusato e ridotto, quindi, a mera e banale propaganda. Già con l’ascesa del Movimento 5 Stelle in seguito ai risultati delle elezioni del 2018, l’allora leader Luigi Di Maio, sbandierò ai quattro venti l’espressione «governo del cambiamento». Poi la storia ha mostrato ha mostrato che questo slogan era «un nuovo che sapeva di vecchio».  In occasione della recente campagna elettorale il vocabolo «cambiamento» è stato abusato nei programmi di quasi tutti i principali partiti politici, soprattutto quando si è affrontata la annosa questione del clima.

Ulteriore novità, probabilmente la più rilevante dal punto di vista istituzionale, è la vittoria di Giorgia Meloni e la sua conseguente nomina di Presidente del Consiglio dei Ministri, in assoluto la prima donna a ricoprire una simile carica nella storia d’Italia. In ultimo, quello appena insediato è senza dubbio il governo più a destra dalla Seconda guerra mondiale. È innegabile che i presupposti per dei cambiamenti siano molteplici: resta da vedere se avverrà realmente e, soprattutto, in quali settori e in che modi.

A tal proposito è molto interessante la chiave di lettura offerta da Roberto D’Alimonte, noto politologo dell’Università Luiss Guido Carli, che ha commentato il successo di Fratelli d’Italia secondo una prospettiva sociologica: «La gente vuole cambiare, provare quello che pare essere più nuovo e promettente. Tutta la Seconda Repubblica è connotata dal voto dettato dal desiderio di cambiamento. È stato vero per Silvio Berlusconi, per Romano Prodi, Matteo Renzi; ora tocca a Giorgia Meloni».

Anche io credo che il desiderio di cambiamento sia insito nell’uomo e che faccia parte della natura stessa dell’essere umano: tra il desiderio di esplorare nuovi orizzonti e la paura di farlo. Tornando all’agire politico, da troppo tempo i nostri parlamentari hanno sposato la causa dell’immobilismo e ciò ha condotto inevitabilmente il nostro Paese sull’orlo del fallimento. La situazione economica è tutt’altro che serena ed è quindi l’ora di passare ai fatti.

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