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"Merito"

L’accostamento di tale parola al termine Istruzione e l’inserimento di Merito nella dicitura ufficiale nel ministero, suona quasi anticostituzionale. Eppure, Ministero dell’Istruzione Pubblica non era tanto brutto.

"Merito"
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redazione Modifica articolo

2 Novembre 2022 - 13.24


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di Marialaura Baldino

Come molte parole del nostro vocabolario, anche il sostantivo Merito viene dal latino; precisamente da meritum, a sua volta derivato di meritus, participio perfetto di mereo, “meritare, guadagnare, ottenere”. Il sostantivo latino ha la stessa radice della parola greca mer-is (porzione – lucro) e di mer-ismos (partizione – divisione – parte). Dal greco, il termine è poi transitato alla lingua latina, mantenendo il significato di origine di avere una parte, ottenere una porzione.

Cercando il significato del termine, molti dizionari concordano sul fatto che esso comprenda tutto ciò che rende degno di ricompensa, di lode, di gratitudine, ma che intrinseca, vi sia anche un’accezione negativa, comprendendo anche l’essere oggetto di biasimo e di pena.

L’enciclopedia Treccani riporta come definizione: “Il fatto di meritare, di essere cioè degno di lode, di premio, o anche di un castigo”. Ecco perché il sostantivo viene affiancato da verbi come premiare, punire e trattare secondo il merito. Chiarisce anche che di solito il termine ha accezione positiva, ricollegandolo al “diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa (materiale, morale o anche soprannaturale), in relazione e in proporzione al bene compiuto”.
Fin qui nulla di male. Ma, l’accostamento di tale parola al termine Istruzione e l’inserimento di Merito nella dicitura ufficiale nel ministero, suona quasi anticostituzionale. Eppure, Ministero dell’Istruzione Pubblica non era tanto brutto.

Posto in questo modo, senza rendere nessuna spiegazione, il termine merito ha quasi sapore di una gara a chi è più bravo, più forte, più competente e affine ai canoni di perfetta costruzione del sé; come se non bastasse già la silente ma perpetua distinzione – all’interno delle aule come nella società – tra i più capaci, quelli che non lo sono per niente, gli abbietti e quelli intelligenti ma che non si applicano.
Posto così, senza un’argomentazione, senza un piano, un progetto di sostegno all’istruzione, sembra quasi che il fatto di meritare qualcosa, sia l’onore, la stima, la lode o quant’altro, si riferisca solo a chi può permetterselo. Eppure, anche se non più nella dicitura, ma l’Istruzione resta pubblica.

In parlamento, dai discorsi durante il voto alla fiducia, è emersa una costante: il concetto dell’uomo, ma anche della donna, che viene dai bassifondi e si è fatto da sé. Quasi a dimostrare che, solo per merito, siano riusciti ad ottenere il posto che occupano. Ma, come scrive Marco Viscardi su DoppioZero, “Merito è una parola bastarda: non ci si può fidare. Perché il merito nella vita reale non esiste: è una illusione ottica, e quando si considera vero quello che è un’ombra, quando si reifica una fantasia in una cosa, si rischia moltissimo, nella psiche individuale e nella vita collettiva della nazione”.

La missione primaria dell’istruzione non è quella premiare il merito; è un’altra e ce lo ha ben insegnato Don Milani. L’esperienza educativa serve a dare parola e possibilità a tutti, a rendere coscienti i cittadini di sé, delle proprie capacità, lavorando “dal basso”, affinché ogni individuo possa acquisire conoscenza e sviluppare il pensiero critico, e non, come Don Milani stesso definiva, “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

La scuola, oltre ad essere luogo di apprendimento e palestra di vita sociale, deve essere lo spazio dove si restituisce, in parte, eguaglianza a tutti, spezzando quel circolo vizioso di divario di classe.
Perché il merito non è solo una questione di farsi da sé, ma è, tra le tante, una questione di accessibilità alle possibilità. E in questo paese, dati alla mano, non tutti hanno gli stessi mezzi, le stesse opportunità, né uguali facoltà e modi. E se questo divario dovesse ripresentarsi proprio nell’educazione e nell’istruzione, allora la classe dirigente avrebbe “il merito” di aver reso la nostra società una inqualificabile massa monocolore dove chi può, si salva, il resto, faccia da sé.

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