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L'uomo del Novecento deve resettare tutto: parola di Zuckerberg

Accettiamo che la tecnologia non debba essere ostacolata per il bene della società e ci arrendiamo al determinismo tecnologico. Considerare in modo razionale le implicazioni sociali viene considerato da retrogradi

L'uomo del Novecento deve resettare tutto: parola di Zuckerberg
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Daniele Magrini Modifica articolo

16 Aprile 2021 - 22.27


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“L’aggiornamento software Quest v28 sta per atterrare presto con Air Link (giochi stream dal tuo PC wireless), 120 hz, abbonamenti app e aggiornamenti Infinite Office. Tanti progressi verso la costruzione del Metaverso”.
Questo annuncio – fatte salve le imperfezioni dell’algoritmo traduttore – è stato postato nei giorni scorsi da Marc Zuckerberg sul proprio profilo Facebook, suscitando l’entusiasmo di decine di migliaia di seguaci social.
Per gli uomini del Novecento come me, il post di Zuck rappresenta un ulteriore turbamento: “Devi dimenticare – mi dice un amico – resetta valori e conoscenze.
Ora c’è un altro mondo”.
Il suggerimento è quello di rassegnarsi ad un mondo ipertecnologico, vissuto nel distanziamento sociale epidemico e post-epidemico, attaccati al computer e ai social come unico svago permesso.
Forse è giusto, perché ogni epoca è frutto del proprio tempo: ma testimoniando le proprie perplessità, almeno un uomo “novecentesco”, cercando di stare all’oggettività delle cose, prova a continuare a svolgere un ruolo attinente ai doveri dell’informazione.
Il Metaverso, dunque.
Prima di tutto che vuol dire? Cosa è? Sostanzialmente significa che alla già esondante possibilità di “giochini” ipnotici a cui si può accedere da smartphone o computer, si aggiungerà una nuova accattivante proposta in cui la dimensione 3D del gioco e la presenza in campo di un avatar del giocatore connesso, consentirà un’immersione ancora più totale.
Aggiungo la definizione della enciclopedia Treccani: “Termine coniato da Neal Stephenson nel romanzo cyberpunk Snow crash (1992) per indicare uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar personalizzati.
Il metaverso viene descritto come un enorme sistema operativo, regolato da demoni che lavorano in background, al quale gli individui si connettono trasformandosi a loro volta in software che interagisce con altro software e con la possibilità di condurre una vita elettronica autonoma.
Il metaverso è regolato da norme specifiche e differenti dalla vita reale e il prestigio delle persone deriva dalla precisione e dall’originalità del rispettivo avatar.
Si è parlato di metaverso per definire le chat tridimensionali e i giochi di ruolo multiplayer online”.
Una cosa simile avvenne una decina di anni fa con Second Life.
Una colossale fuffa internettiana, ma che rastrellò investimenti anche da parte di banche e istituzioni per aprire filiali o palazzi dentro quel mondo e fare così operazioni di comunicazione che parevano all’avanguardia.
Oggi sono ben altri gli investimenti.
Si legge nei siti specializzati come Wired, che la “visione di lungo termine del metaverso di Epic Games” avrà un sostegno di un miliardo di dollari e che tra gli investitori c’è anche la Sony con 200 milioni di dollari.
Wired informa anche che l’azienda che realizza Epica Games ed altri prodotti simili, “fondata da Tim Sweeney ha raggiunto una quotazione di 28,7 miliardi di dollari, il 66% in più rispetto allo scorso agosto”. Tim Sweeney commenta: “Sarà una sorta di social media 3D in tempo reale in cui, invece di scambiarsi messaggi e immagini in modo asincrono, si interagisce insieme in un mondo virtuale, condividendo esperienze di gioco o sociali”.
Ecco, ma il fatto che mentre siamo nel cuore del secondo anno epidemico in cui viviamo in una sorta di vita negata per paura di morire, inibiti alle relazioni sociali per come le abbiamo vissute prima del virus, Zuck e Sweeney ci propongano un Metaverso in cui compiere le nostre “esperienze sociali” in un Metaverso, come avatar di noi stessi, non fa provare qualche brivido? O, al limite, non fa anche un po’ incazzare, temendo soprattutto per la salute mentale dei nipoti di noi uomini novecenteschi?
Ma – sento già la critica – ognuno gioca come gli pare.
Certo, noi novecenteschi giocavamo a palloni nei cortili e invece oggi i ragazzi stanno immersi nei computer. Prima con la Dad poi con il Metaverso. Comprendo però che questi siano turbamenti da uomo novecentesco.
Allora torniamo ai dati oggettivi: che questa roba del Metaverso sia un’altra colossale leva di guadagno per i soliti capitalisti della Rete – ormai super potenza, metanazione dominante a livello globale – è già documentato dalle cifre sopra riportate.
Quindi vengo solo ad altre due considerazioni oggettive sulle quali chi legge, se vuole, può riflettere:
– il tempo della nostra vita in cui siamo connessi è ogni giorno di undici ore e 27 minuti. Di questo porzione quotidiana 2 ore e mezzo (media mondiale) circa sono riservate social. Nelle Filippine si giunge a quattro ore, in Italia siamo a poco più di due ore.
I dati sono dei ricercatori di Global Web Index. Evidentemente non soddisfano Zuck che con il Metaverso punta ad allungare i tempi di permanenza, così da avere profilazioni degli utenti, ad uso commerciale, sempre più predittive.
– le conseguenze sul nostro cervello non sono poca cosa. Nicholas Carr, autore di Internet di rende stupidi? (Raffaello Cortina Editore, 2010) sostiene oggi ancor di più di undici anni fa, che stare immersi nei social attaccati a uno smartphone, con giochini che hanno effetti di ripetitività e di assuefazione devastanti, provoca effetti negativi: “Il nostro cervello è malleabile – scrive Carr – Se viene bombardato da distrazioni e interruzioni continue, si adatta di conseguenza.
Siamo sempre più in balìa del flusso di informazioni, più distratti che mai. Gli effetti? L’attenzione diventa frammentaria, siamo meno capaci di riflettere e di pensare in profondità. Si attenua il pensiero critico e anche la memoria ne risente”.
Ovviamente le tesi di Carr sono state fortemente avversate. Chi volesse misurarle può leggere Surplus cognitivo di Clay Shirky, che sostiene l’opposto di Carr: il cervello umano grazie alle sollecitazioni della Rete è oggi più “elastico”.
Questa consolante teoria è alla base di gran parte del pensiero non critico dominante.
Personalmente mi piace sottolineare quanto scriveva Langdon Winner già nel 1980 (Do artfacts have politics? Modern Technology, problem or opportunity?, Daedalus 109 n.1) : “I cambiamenti e i disagi portati ripetutamente da una tecnologia in via di evoluzione nella vita moderna sono stati accettati come un dato di fatto, o come inevitabili, semplicemente perché nessuno si è preso la briga di chiedere se ci fossero altre possibilità.
Accettiamo che la tecnologia non debba essere ostacolata per il bene della società e in tal modo ci arrendiamo al determinismo tecnologico. Considerare in modo razionale le implicazioni sociali viene considerato da retrogradi”.
E dunque, da retrogrado, penso che il Metaverso rappresenterà un formidabile veicolo di motivazione dell’avvento del 5G e un’altra frontiera di quel mondo asservito all’inevitabilismo tecnologico, di cui uomini del Novecento come me, non riescono più a comprendere il senso.

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