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Si propone di vaccinare nei Musei, ma perché non anche negli antichi ospedali?

L'ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, ad esempio, ora complesso museale. Lo spazio a disposizione è vastissimo e come in altri grandi complessi aventi la stessa vocazione

Si propone di vaccinare nei Musei, ma perché non anche negli antichi ospedali?
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Gabriella Piccinni Modifica articolo

17 Gennaio 2021 - 19.24


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Da qualche giorno sta prendendo forma la proposta di utilizzare gli ampi spazi di alcuni musei italiani a sostegno del piano nazionale di vaccinazione Covid19. Con lo slogan “L’arte cura” l’idea è stata lanciata quasi in contemporanea a Torino per il Museo d’arte contemporanea Castello di Rivoli e a Firenze per i musei comunali.

In effetti, molti musei offrono spazi ampi, ariosi e ben curati, riscaldati, custoditi agli ingressi da personale apposito, hanno spesso tornelli conta-persone e servizi igienici. E un centro vaccinazioni richiede poca attrezzatura specifica, forse un’attrezzatura di base antishock, possibilmente un’ambulanza attrezzata fuori dal portone pronta per eventuali esigenze. 

La proposta è bella e interessante, non solo per i risvolti pratici ma anche e soprattutto sul piano del significato culturale e civile, perché i nostri musei italiani, per loro natura e funzione, rappresentano un bene della collettività ed è bello che si mettano a disposizione di tutti nel momento massimo della necessità. Nascono spesso dalla storia del territorio che li ospita, si nutrono di ciò che là è stato prodotto e collezionato, raccontano non solo se stessi ma la storia e la cultura delle collettività, contengono insieme opere “alte” e “basse”, statue di marmo e lucerne di terracotta, iscrizioni e monete, quadri e sigilli, tavoli e arredi perché tutti sono parte della stessa storia cui appartengono i capolavori dei grandi artisti e anche, dello stesso tessuto culturale e civile che, fuori dal museo, si dispiega con meravigliosa continuità nelle strade e nelle case, come ci ha insegnato tra gli altri Salvatore Settis.

Viene da chiedersi, allora, se questa magnifica funzione sociale non acquisterebbe ancora più valore simbolico se fosse offerta da alcuni degli importanti ospedali storici, di origine medievale o di età moderna, che solo negli ultimi decenni sono stati convertiti, in tutto o in parte, in luoghi per la cultura e che ora ospitano musei, percorsi di storia della medicina o di assistenza, sale conferenze, biblioteche, aule: sia quelli che hanno mantenuto, vicino a percorsi espostivi, alcune delle funzioni originarie di assistenza o di ospitalità o pratiche sociali che riguardano i bambini e le famiglie (penso all’Istituto degli Innocenti di Firenze), sia quelli che sono stati trasformati tout court in musei. Si tratta in molti casi di locali ampi, deposito della memoria cittadina della cura, per i quali sarebbe storicamente naturale proporre l’istituzione del punto vaccinale.

Un esempio importante, per l’ampiezza dell’edificio e per la storia millenaria che ha alle spalle e che è conosciuta in tutta Europa, è quello dell’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, ora complesso museale. Lo spazio a disposizione è vastissimo, e come in altri grandi complessi aventi la stessa vocazione, vi si possono fare molte attività che ruotano intorno al patrimonio culturale, naturalmente alla sola condizione che ogni iniziativa e proposta sia di elevata qualità.  Proponendosi come centro vaccinale l’antico millenario ospedale, sottoutilizzato in questo periodo, potrebbe recuperare un po’ della sua funzione antica e dignità moderna. 

Distanziamento assicurato, possibilità di accessi separati, significato civico e civile enorme, storia rispettata. Potremmo così di nuovo fare di questi luoghi dei giganti, come sono stati in passato, anche perché in grado di risvegliare sentimenti positivi di appartenenza. Come se le collettività si curassero un po’ con le proprie mani e risvegliando la propria storia. Il significato, il simbolo sarebbero altissimi ed efficaci più di un padiglione primula. 

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