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La bussola di Augias per orientarci in un "Breviario per un confuso presente"

Lo scrittore con l’ausilio del ricordo di eventi e personaggi del passato, cerca di ricavarne una sorta di insegnamento, capace di trovare la propria utilità nella moderna società

La bussola di Augias per orientarci in un "Breviario per un confuso presente"
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2 Gennaio 2021 - 17.08


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di Antonio Salvati

Petrarca nel XIV secolo, seppur ispirato dal suo profondo pessimismo, sosteneva che volgeva lo sguardo nello stesso tempo al passato e al futuro, «simul ante retroque prospiciens». Corrado Augias avverte la stessa percezione e come Petrarca anche «noi ci troviamo al confine tra due popoli o due epoche o due mondi e nemmeno a noi mancano ragioni di pessimismo, a cominciare dallo stato di salute del povero pianeta, oltraggiato senza pietà né discernimento». Innegabilmente viviamo anni rivoluzionari – avverte Augias – in cui vengono meno abitudini consolidate, riferimenti culturali ed etici che a lungo hanno forgiato la nostra civiltà. Inoltre, «innovazioni scientifiche e tecnologiche inimmaginabili fino a pochi decenni fa hanno reso possibili e anzi banali risultati e capacità smisurate; i cambiamenti si succedono con vertiginosa velocità trasformando non solo il nostro mondo fisico e virtuale, ma la psicologia delle nuove generazioni – secondo alcune diagnosi la loro stessa antropologia –, e comunque introducendo nuovi modi di vivere, e nuove epidemie».

Con citazioni e resoconti relativi ai nostri tempi, insieme alla descrizione di fatti di una coinvolgente, quanto inquietante realtà, Augias nel suo ultimo volume Breviario per un confuso presente (Einaudi 2020, pp. 200, 18,50 euro), ha l’ambizione di fornirciin un presente decisamente difficile e in attesa di un incombente e poco scrutabile futuro – una sorta di bussola per orientarci. Con l’ausilio del ricordo di eventi e personaggi del passato, cerca di ricavarne una sorta di insegnamento, capace di trovare la propria utilità nella moderna società. Ha osservato che se diamo al termine «barbari» il significato di «chi con vigore semiconsapevole distrugge ciò che incontra sostituendolo con una cultura e una vita nuove, possiamo dire che i barbari sono arrivati». Il grande astrofisico Stephen W. Hawking (1942-2018) osservò che «come non siamo ancora in grado di scorgere i confini dell’universo, così non riusciamo a vedere fin dove potranno arrivare le applicazioni elettroniche, le conquiste dell’intelligenza artificiale».

Augias ci conduce in un percorso in compagnia della lettura di autori prediletti come Spinoza e Montaigne, tentando di ricollegare il presente al passato e alle cause che l’hanno provocato, rendendoci più decifrabile e meno ansioso l’orizzonte degli eventi. La memoria del passato è indispensabile a collocare i fatti in prospettiva, indicare una strada, individuare le cause e i loro effetti. In altri termini, «fornire – quando è possibile – un punto d’orientamento. Non c’è futuro, luminoso o obbligato che sia, che ci salvi dal dovere di trasmettere il passato, prima che tutto finisca travolto da un nuovo mondo, come presto o tardi certamente avverrà».

Indubbiamente un libro ricco di suggestioni e di riflessioni, non privo di sarcasmo laddove vengono tratteggiati i vizi e le virtù degli italiani. Importante l’invito a non abbandonare la fantasia, a rivalutare i ricordi, a rileggere anche più volte i classici, dispensatori di “infinito” (decisamente istruttive le pagine su Leopardi). Degna di nota la necessità di rivalutare l’importanza delle fiabe nello sviluppo psico-fisico del bambino e dell’approfondimento dei fatti storici, per una crescita completa e funzionale. Da sottolineare, infine, l’approccio spirituale che accompagna il libro e la visione di Dio di Augias, che si identifica con i nostri simili e «attraverso il nostro prossimo, l’ambiente che ci ospita, il comune destino su questa malconcia pallina che si chiama Terra».

Nell’ultimo capitolo ci si interroga su come avverrà il nostro congedo da questa terra («il solo evento – quanto meno nella sua fase estrema – che renda davvero i viventi tutti uguali»), malgrado le rassicuranti logiche – almeno apparentemente – del filosofo Epicuro che in una sua epistola scrisse: «il più terribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono più». In realtà, la maggior parte di noi non è la morte che teme ma il morire. La morte degli altri, soprattutto dei nostri cari, è l’esperienza traumatica d’una rottura definitiva. Una vita si spegne e non tornerà mai più e il guaio «è che abbiamo assistito a un evento di cui saremo a nostra volta protagonisti senza nulla sapere di quanto è accaduto». Augias ama ricordare la chiusa del meraviglioso Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi dove la morte, al contrario, viene inserita nel ciclo della natura insieme all’acqua, al sole, alla terra che tutti ci nutre: «Laudato si’, mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare». Nella visione di Michel de Montaigne superare il timore della morte significa rafforzare la propria libertà: «La meditazione della morte è meditazione della libertà. Chi ha imparato a morire, ha disimparato a servire. Il saper morire ci affranca da ogni soggezione e costrizione». Diversi sostengono che antichi abbiano diffuso e inculcato nelle masse le nozioni sugli dèi e l’aldilà per tenerle a freno dalle più violente passioni, garantendo in tal modo il più possibile la convivenza. Ma in un’epoca secolarizzata come la nostra il deterrente dell’inferno sembra non funzionare più. E dalla Prima lettera di Paolo ai Corinzi (15,12-14): – «… se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» – si capisce che già da allora doveva essere difficile credere alla resurrezione.

Inesorabilmente si arriva a considerare l’eutanasia, argomento da considerare con estrema prudenza per gli abusi cui può dare luogo; anche perché «nessuno può leggere nella mente di chi non può più esprimersi, anche nelle condizioni più drammatiche non si può mai escludere la possibilità d’una guarigione o d’un ostinato attaccamento alla vita». Seppur in Italia si discute da anni una legge che regoli il fine vita per Augias sarebbe preferibile non farla, considerata la forte probabilità di emanare un provvedimento pasticciato e ambiguo. Del resto, come negare che, di fatto, l’eutanasia già esiste, viene spesso praticata negli ospedali senza nominarla. Il libro termina con le seguenti righe: «mentre scrivo queste parole trovandomi in discrete condizioni psicofisiche, penso che anch’io chiederei di essere lasciato andare se ridotto in condizioni d’immobilità e d’incoscienza, puro essere vegetale disumanizzato dall’assenza di pensiero. Poi però mi domando se sarei davvero incapace di pensiero o soltanto di manifestarlo. Uno dei miei incubi è immaginare che, mentre giaccio immobile e inespressivo, dentro di me sto gridando: no, lasciatemi ancora qui, forse succederà qualcosa».

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