Socialista e razzista, Marx e Nietzsche: le mille contraddizioni di Jack London | Culture
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Socialista e razzista, Marx e Nietzsche: le mille contraddizioni di Jack London

Alcolista e gran lavoratore, visse per strada e nei salotti. Con “Il figlio del lupo” Romana Petri compone una magnifica biografia romanzata dello scrittore

Socialista e razzista, Marx e Nietzsche: le mille contraddizioni di Jack London
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15 Maggio 2020 - 17.05


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di Marco Buttafuoco
 
Un nuovo, benvenuto, libro su Jack London. A centoquattro anni dalla morte appena quarantenne, il mito dello scrittore americano è ancora vivo, nonostante tutto, anche se negli ultimi decenni sembrava offuscato. Stando alla bibliografia che Mario Maffi allegò alla sua prefazione a una raccolta di saggi dello scrittore americano uscita nel 2016 (centenario della morte) e intitolata Il senso della vita, le ultime opere biografiche in italiano sullo scrittore risalgono alla fine di quegli anni settanta. La sua stella brillava allora intensamente; non a caso, dal momento che, già da prima della Grande Guerra, intere generazioni di militanti della sinistra, soprattutto operai, avevano trovato in opere come Martin Eden o il Tallone di Ferro, dei veri e propri libri di formazione. Nel 1975, tuttavia, anche Franco Maria Ricci aveva pubblicato, certo non per una scelta militante, una breve antologia di suoi racconti (Le Morti Concentriche), nell’immortale Biblioteca di Babele, curata direttamente da Jorge Luis Borges. Poi di London si era parlato poco; qualcosa per il suo centenario, qualche bella uscita di Adelphi (fra cui il visionario La peste scarlatta), la versione cinematografica, non memorabile, di Martin Eden diretta da Pietro Marcello e poco più. Ora, ad alimentare la fiamma inestinguibile del mito di questo artista, tanto divisivo nel sentire della comunità dei lettori (con la parziale eccezione di Martin Eden il suo lavoro è di solito amato allo spasimo, o rifiutato in blocco; in qualche caso, sciaguratamente, è etichettato come scrittore per ragazzi) Romana Petri pubblica questa nuova biografia, Il figlio del lupo (Mondadori 2020, pagg 384, prezzo di copertina € 19,50, ebook 9,99).

Il punto di vista femminile
Anche se l’autrice non dichiara le sue fonti, sembra chiaro che fra esse ci siano le opere di Joan e Charmian London, rispettivamente figlia e seconda moglie dell’autore de Il lupo di mare. Nelle pagine di questo ben riuscito lavoro pesa molto il punto di vista femminile: quello della madre Flora (una veggente e spiritista, mentre il padre naturale di Jack fu un astrologo che mai riconobbe il figlio); quello di Bessie, la prima moglie, che London abbandonò per Charmian; quello della sorella Eliza, per certi versi l’eroina positiva di questa biografia romanzata, l’unica che avesse le chiavi del cuore del fratello, l’unica cui egli si affidasse veramente (insieme, forse alla sua balia nera Mamie Jennie). È alla luce di queste storie femminili che la Petri rilegge la storia di Jack London.

Jack aspirante rivoluzionario e feudatario in una comunità
Il libro, minuzioso e curatissimo, non getta nuove luci sulla vita del protagonista, casomai stende qualche ombra sulla sua storia già controversa. London fu un aspirante rivoluzionario e, allo stesso tempo, si vagheggiava aspirante feudatario di una comunità ideale, che cercò di costruire, materialmente, nel suo immenso ranch californiano di Moon Valley. Fu socialista e razzista, marxista e nietzschiano, sognatore e dissipatore di sogni, amò (e praticò) la violenza, visse per la strada e nei salotti, fu autore di storie magnifiche, spesso memorie di una vita realmente avventurosa; fu scrittore “volutamente parco nell’uso di mezzi artistici” come scrisse Lev Trotzky, fu alcolista e, allo stesso tempo, lavoratore formidabile.

La Petri rielabora queste contraddizioni negli strappi che questa personalità convulsa lasciò sulla tela della vita delle donne che lo amarono. Storia forte, quindi, intimista ma feroce al tempo stesso; avvincente, talora un po’ sordida, il cui basso continuo è il senso di Jack London per l’autodistruzione, fino a quella morte, forse involontaria, per abuso di farmaci, avvenuta nel 1916. Scrisse di lui J.L. Borges: “Jack London morì a quarant’anni ed esaurì fino alla feccia la vita del corpo e quella dello spirito. Nessuna delle due lo soddisfece del tutto, e cercò nella morte il tetro splendore del nulla”.
Era veramente difficile aggiungere qualcosa a un epitaffio simile e alle tante pagine scritte su London. Romana Petri c’è riuscita in pieno. Parola di londoniano.

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