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Sepulveda attivista, da guardia del corpo di Allende all’ambientalismo

La militanza politica dello scrittore: torturato dal regime di Pinochet, il lavoro con Greenpeace, disse che “si è liberi solo mentre si lotta per la libertà”

Sepulveda attivista, da guardia del corpo di Allende all’ambientalismo
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17 Aprile 2020 - 09.24


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di Adriano Ercolani

Nel cordoglio internazionale per la scomparsa di Luis Sepúlveda, stroncato a 70 anni dal Corona virus, si sta, in generale, esaltando la sua carriera letteraria, i suoi romanzi e racconti di successo, soprattutto l’ormai proverbiale Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (per tacere di grossolani errori di attribuzione di altri capolavori della letteratura sudamericana).
Crediamo, però, che vada ricordato un aspetto fondamentale della sua esistenza, ispirazione fondamentale della sua creatività e motore della sua vita rocambolesca, ovvero l’impegno politico, vissuto con coraggio fino alle conseguenze più gravi.
La militanza in prima linea dello scrittore è stata la causa scatenante di un’esistenza avventurosa.

Non tutti sanno che da giovane lo scrittore cileno, dopo aver militato prima nelle Gioventù Comunista del suo paese e nell’Esercito di Liberazione Nazionale boliviano, militò in prima linea nei primi anni ‘70 nel Partito socialista in patria, fino diventare uno del Grupo de Amigos Personales, ovvero una delle strette guardie del corpo di Salvador Allende.
In occasione del tragico colpo di Stato di Pinochet, dell’11 settembre 1973, Sepúlveda, che si trovava nel palazzo presidenziale dove fu trucidato Allende, venne arrestato e torturato.
Solo grazie all’intervento di Amnesty International, dopo sette mesi venne liberato dalle condizioni disumane in cui era stato costretto, ovvero una cella talmente piccola da impedirgli di sdraiarsi o stare in piedi.
Una volta libero, venne presto nuovamente incarcerato, perché le sue opere teatrali denunciavano la vile violenza del regime cileno, negli anni atroci dei desaparecidos.
Fu condannato all’ergastolo, ma anche qui l’intervento di Amnesty fu determinante per la riduzione della pena, ridotto prima a otto e poi a due anni e mezzo.

Nel ‘77, inizia una serie di rocambolesche peregrinazioni: lasciando il paese per recarsi in Svezia, dove aveva ottenuto asilo politico, al primo scalo cambiò rotta per l’Uruguay, dove molti suoi compagni erano in carcere. Non giunse mai però a destinazione, dopo essere passato attraverso il Brasile e il Paraguay, dove il regime locale lo costrinse a scappare.

Si stabilì, dunque, in Ecuador e lì riprese la sua attività teatrale, partecipando a un progetto Unesco sulla civiltà indios, con i quali visse per quasi un anno nella foresta amazzonica.
Per ironia, uno dei più grandi teorizzatori dell’inferiorità degli indios nel Rinascimento si chiamava proprio Juan Ginés de Sepúlveda!
Quell’esperienza indusse lo scrittore a comprendere come l’ideale marxista difficilmente poteva attecchire in una cultura come quella sudamericana, profondamente legata tradizioni ancestrali. L’anno successivo si recò in Nicaragua, per lottare accanto alle Brigate Internazionali Simon Bolivar.

Dopo la vittoria rivoluzionaria, si trasferì in Germania e poi in Francia,
Dall’82 all’87 è stato un attivista e coordinatore di Greenpeace; solo due anni dopo poté ritornare nella sua patria d’origine, anche se decise di passare l’ultima fase della sua vita avendo come base la Spagna. Il resto è affidato alla storia della letteratura contemporanea. Una vita dedicata alla lotta per la giustizia, al benessere comune, in varie forme, momenti e fasi.
Ora, finalmente, molti potranno leggere la Storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a valore in maniera, forse, più consapevole, come cristallina metafora della lotta per la libertà, prima interiore e poi esteriore.

Perché, come scrisse proprio Sepúlveda ne L’ombra di quel che eravamo: “La libertà è uno stato di grazia e si è liberi solo mentre si lotta per conquistarla”.

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