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Nel 1938 Scerbanenco affila sentimenti fuori dai dettami fascisti

La Nave di Teseo pubblica “Il terzo amore”, romanzo d’esordio dello scrittore milanese d’adozione

Nel 1938 Scerbanenco affila sentimenti fuori dai dettami fascisti
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1 Ottobre 2019 - 12.56


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Enzo Verrengia

Chi adora Giorgio Scerbanenco, ed ha numerosa compagnia in questo, può esultare ritrovandosi fra le mani Il terzo amore, romanzo d’esordio dell’autore ucraino di nascita e milanese di adozione, rieditato dalla Nave di Teseo. Ma attenzione: non ci si illuda di trovare in queste pagine anticipi dell’ispirazione poi culminata con i racconti noir e nel ciclo di Duca Lamberti. Il fatalismo amaro, disperato e violento di quelle atmosfere è ben lontano da queste pagine che risalgono al 1938, quando Scerbanenco aveva ventisette anni. Piuttosto nella caduta e ascesa di Elena Varani, pellicciaia, ragazza-madre e attrice, si ritrova una vena morale che echeggia la commedia umana di Balzac.
Peraltro, come ricorda Cecilia Scerbanenco nella prefazione, all’epoca, la novellistica sentimentale era pericolosamente soggetta alla supervisione censoria del fascismo. Il peccato doveva essere punito, la rispettabilità veniva al di sopra di tutto, l’introversione affettiva andava ripulita da ogni cedimento decadentista.
Invece Scerbanenco, fin dall’inizio, costruisce una vicenda delicata, piena di sfumature psicologiche in totale discordanza con il fervore gradasso di un regime che portava il Paese verso una guerra disastrosa.

Nella scena iniziale, Elena si ritrova a tavola con Giulio in un albergo lacustre mentre scoppia un temporale. Le luci vanno via, e al lume di candela il loro dialogo sommesso sembra quello a Deauville di Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée in Un uomo una donna. Solo che, a differenza dei personaggi interpretati da questi ultimi, i due di Scerbanenco non hanno una maturità ferita dai rispettivi lutti ma abbastanza lucida da guidarli nella scelta del loro amore. Elena e Giulio sono giovani e inesperti. Anche lui, il seduttore, in fondo non è che un ragazzo cresciuto con la voglia di apparire l’equivalente novecentesco del principe azzurro. O neanche troppo, se poi si rifiuta di assumere le responsabilità paterne quando Elena resta incinta. Loro figlio, Giovanni, sarà un fragile trait-d’union per buona parte della storia, finché…

In realtà, essendo il romanzo stato concepito per la rivista femminile “Lei”, Scerbanenco è molto attento alla psicologia di Elena. Il suo pubblico consiste di lettrici. Quindi, per la sua protagonista, lo scrittore sceglie una strada irta di asperità, che intrigano le donne che sfogliano il libro e ritrovano parte di se stesse nel vedere la pellicciaia passare da un’esistenza sordida alle luci della ribalta. Deve la sua fortuna alla benevolenza del vecchio Margoni, il suo datore di lavoro, che la introduce nell’ambiente teatrale. Una volta entratavi, però, Elena viene attratta da uomini più giovani e interessanti, relegando il suo bimbo segreto, Giovanni, in una sorta di universo parallelo, cui lei non sente più di appartenere. Allora ha buon gioco Pietro Orsani, rampollo di un pilastro del giornalismo milanese, sempre disponibile a viziarlo per debolezza di genitore.

Neanche la frequentazione del bel mondo che lui permette a Elena, le cancella da dentro il retaggio tormentato del suo amore per Giulio, il cui frutto tangibile è Giovanni. Forse in questo si può intravedere il meccanismo del giallo. Quale effetto avrà sulle traversie di Elena il terzo amore della sua vita? Scerbanenco dà una risposta non del tutto scontata, perché la affida al più imprevedibile dei sentimenti, il rimorso.
Giorgio Scerbanenco, Il terzo amore (La Nave di Teseo, pp. 272, euro 17,00)

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