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Le parole di Oz: in qualunque fede il fanatismo è un gene perverso

Cosa ha scritto il narratore ebreo sul conflitto tra Israele e Palestinesi e su un male diffuso in ogni civiltà e religione: alcuni passi dal libro "Contro il fanatismo"

Le parole di Oz: in qualunque fede il fanatismo è un gene perverso
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28 Dicembre 2018 - 20.11


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Il conflitto tra ebrei e palestinesi è maledettamente reale, non basta un invito a un tè allo stesso tavolo in Europa per risolverlo: serve invece un “compromesso”, termine spesso aborrito da certa politica in apparenza votata alla purezza (concetto pericoloso, molto) e un comprendere le ragioni degli uni e degli altri. È una delle numerose riflessioni di Amos Oz, lo scrittore ebreo israeliano morto oggi, che possiamo leggere nelle conferenze contenute nel libro “Contro il fanatismo” edito in Italia da Feltrinelli nel 2004 (uscito in edizione economica nel 2015, 78 pagine, 7 euro, traduzione di Elena Loewenthal): tre lezioni a Tubinga nel 2002, in Germania, su scrittura, politica, culture, confronti, ebraismo …

Israele e Palestina: non basta un caffè in Europa
Nella terza lezione su Israele e Palestina lo scrittore ricordava di ricevere continuamente dal continente europeo «sfarzosi inviti a trascorrere rosei week-end in luoghi ameni insieme a colleghi palestinesi, referenti palestinesi, controparti palestinesi, sì da imparare a conoscerci a vicenda, a piacerci a vicenda, a prendere il caffè insieme, a renderci conto che nessuno ha corna e coda, come se così i guai sparissero». Neppure sui tempi più controversi Oz rinunciava a quell’ironia, e autoironia, che scaturiscono dall’intelligenza e dalla cultura ebraica. Quegli inviti, aggiunge, scaturiscono da un pensiero «tipicamente» europeo «secondo cui i conflitti non sono null’altro che dei malintesi. Una modica terapia di gruppo, un tocco di consulto famigliare, e tutti vivranno felici e contenti». Anche qui lo scrittore esercita l’autoironia sulla cultura occidentale e su quella ebraica dove l’attitudine a psicoanalizzare sembra fervida, almeno a pensare ai film di Woody Allen …

Ebrei israeliani e palestinesi vogliono la stessa cosa
«Purtroppo ho delle cattive notizie – avverte lo scrittore – alcuni conflitti sono molto reali, sono ben peggio di un malinteso. Ma ho anche delle notizie sensazionali, per voi: temo che non ci sia alcun malinteso di base, fra arabi palestinesi e israeliani ebrei. I palestinesi vogliono la terra che chiamano Palestina. La vogliono per delle ragioni stringenti. Gli ebrei israeliani vogliono esattamente la stessa terra esattamente per le stesse ragioni, il che garantisce una perfetta comprensione fra le parti, e dà la misura di una terribile tragedia».
La consapevolezza della tragedia attraversa tutta la narrativa di Oz, opera complessa, come innerva i suoi interventi saggistici e giornalistici, più diretti, naturalmente privi di altrettante sfaccettature, più diretti. Prosegue così, il narratore con la giacca da conferenziere in un’antica città universitaria tedesca: «Fiumi di caffè insieme non potranno mai cancellare la tragedia di due popoli che rivendicano, e ritengo con ragione, lo stesso piccolo paese quale unica loro patria, nazione al mondo. Pertanto, un caffè conviviale è cosa meravigliosa, ci sto soprattutto se si tratta di caffè arabo, che è infinitamente migliore di quello israeliano. Ma un caffè insieme non può risolvere il problema. Ciò di cui abbiamo bisogno non è soltanto un caffè che serva a capirsi meglio».

L’unica via è un compromesso doloroso
Oz non sprofonda nel senso dell’apocalisse che spesso genera cupezza e durezza e non lascia spiragli. Quanto scrive ancora in “Contro il fanatismo”, nella seconda lezione su “Come guarire un fanatico. L’oltranzista è un punto esclamativo ambulante”, fa capire come Oz abbia avuto una radicata fiducia nelle possibilità umane della convivenza, come abbia creduto nell’esercizio della comprensione, pur faticosa: «Ciò di cui abbiamo bisogno è un doloroso compromesso». Lo scrittore sa di toccare materia incandescente. E anche se «la parola “compromesso” gode di una terrificante reputazione nella società europea», per Oz rimane l’unica strada per provare a risolvere il conflitto tra Israele e Palestinesi.
Perché ciò accada occore accettare la controparte senza umiliarla, invoca lo scrittore: «Compromesso, non capitolazione. Compromesso significa che il popolo palestinese non debba mai mettersi in ginocchio, e nemmeno debba farlo il popolo ebraico israeliano». Perché ciò avvenga occorre sconfiggere un elemento insito nell’essere umano, un fenomeno «più antico dell’islam, del cristianesimo, più antico di ogni stato o governo, d’ogni sistema politico e di tutte le confessioni del mondo», dice ancora nella seconda delle tre lezioni del libro.

Bombe anti-aborto e attentati di Bin Laden: crimini
Il fanatismo per Oz è «onnipresente della natura umana», è «un gene perverso». Chi negli Stati Uniti «fa saltare cliniche dove si pratica l’aborto», chi brucia moschee e sinagoghe in Germania non è diverso da Bin Laden che ha pianificato l’attacco alle Torri Gemelle a New York l’11 settembre 2001, o meglio, è diverso «solo nella misura, non nella natura dei propri crimini». Quindi chi appiccica l’etichetta di “fanatismo” all’Islam e all’Islam soltanto mente o non sa di mentire: un fanatico oltranzista per Oz è un fanatico oltranzista qualunque sia la sua bandiera, la sua religione, il suo credo politico, ed è pericoloso.

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