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Cinica provincia americana, specchio dei tempi

“La fine di Wettermark” di Elliott Chaze narra della svolta criminale di un cronista, di razzismo, militarismo strisciante, del sogno americano e della Louisiana

Cinica provincia americana, specchio dei tempi
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18 Giugno 2018 - 10.53


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Rock Reynolds

La provincia americana non smette mai di stupire, con le sue contraddizioni e il suo cast di personaggi che sembrano appena usciti da una commedia degli equivoci. Non scopro ovviamente nulla se dico che è difficile trovare una miglior ambientazione per una storia moderna. Migliaia di registi e scrittori, per non parlare di autori di canzoni, l’hanno scelta per rappresentare al meglio le luci, per la verità non moltissime, e le ben più numerose ombre della commedia esistenziale a stelle e strisce.
In genere, quando il per lo più sonnacchioso tran tran della provincia americana mostra un sussulto, a scompaginare i ritmi indolenti è il crimine. Spesso violento, talvolta indotto dal bisogno. La fine di Wettermark (Mattioli 1885, traduzione di Livio Crescenzi, pagg 185, euro 15), un romanzo del 1969 di Elliott Chaze, è la storia di un anonimo cronista di provincia, Cliff Wettermark, che indaga tra le pieghe di una rapina alla banca locale e, schiacciato dal peso di un’esistenza grigia e, soprattutto, da una situazione debitoria che non vede speranze all’orizzonte, decide di fare il classico salto dello steccato e di rimediare ai guai finanziari proprio attraverso una rapina. In fondo, le banche non sono istituti di carità e i sensi di colpa non offuscano l’urgenza del bisogno.
Lo spunto non è nuovo, d’accordo. Nulla di sconvolgente, considerate le centinaia di precursori, soprattutto nella scuola degli americanissimi autori hard boiled, ma Chaze, finito troppo presto nel dimenticatoio e rispolverato da Mattioli 1885 un paio d’anni fa con la ristampa del suo romanzo più celebre, Il mio angelo ha le ali nere (portato sul grande schermo nel 1990 dal regista francese Jean-Pierre Mocky), entra nella psiche tormentata e frustrata di Wettermark tanto quanto Jim Thompson lo ha fatto ne L’assassino che è in me nel 1952. E con Jim Thompson condivide parecchio, a partire dalla tendenza a scavare nell’animo del crimine e, dunque, di chi lo commette, così come l’inclinazione a descrivere la ripetitività e il piattume della vita di una piccola comunità della Louisiana, terra che gli ha dato i natali e a cui fa costantemente ritorno nella sua prosa, proprio come Jim Thompson raramente si stacca dal suo Oklahoma.
La sua cittadina dista poco dalla pittoresca New Orleans, nei confronti della quale, però, non mostra la stessa passione viscerale che un altro grande scrittore di noir della Louisiana ha sempre evidenziato. Mi riferisco, chiaramente, a James Lee Burke, per il quale New Orleans e il bayou, ovvero le zone paludose intorno alla grande città, rappresentano un cuore pulsante di umanità oltre che di crimine e affari loschi. Cliff Wettermark sembra, piuttosto, muoversi in una cittadina noiosa come la vita che vi si svolge e persino quando si avventura nella “Big Easy”, come viene affettuosamente chiamata New Orleans, non si lascia coinvolgere più di tanto da colori, profumi, sapori e suoni che hanno reso celebre questo angolo inusuale degli Stati Uniti. La stessa New Orleans e i suoi dintorni, insomma, hanno un che di sopravvalutato, a giudicare da come ne parla Wettermark. “New Orleans… Trappole d’acciaio inossidabile e lastre di vetro dove gente ingenua del Colorado e Wisconsin, Missouri e Michigan, s’ingozzava, eccitata e frastornata, di gamberi alla creola andati a male e di trote alla mandorla puzzolenti… cibo che, a casa loro, i turisti non avrebbero toccato nemmeno con un palo lungo dieci piedi.”

Dalla questione razziale al costo per curarsi

E, malgrado si tratti di un romanzo del 1969, c’è davvero lo spettro completo delle problematiche classiche degli Stati Uniti: la questione razziale, affrontata tangenzialmente ma evidente nei commenti che qua e là l’autore mette in bocca ai suoi personaggi; la guerra e, dunque, lo strisciante militarismo persino all’interno del paese; l’ossessione per le armi e la loro crescente diffusione; il costo delle cure mediche, ben prima della “riforma” liberista imposta da Ronald Reagan – “Gli sarebbe piaciuto dire qualcosa di profondo, di memorabile. E nel frattempo si chiedeva quanto costassero dieci settimane di cobaltoterapia” – e la possibilità di chiedere un anticipo asfissiante sull’assicurazione sulla morte; l’alcolismo e l’isolamento che mettono con l’acqua alla gola tanti individui in un paese enorme in cui la “distanza” dai propri simili talvolta si fa inaccessibile; ma pure l’ottimismo strisciante che nemmeno il velo di tristezza e l’avanzare della depressione riescono del tutto a scalfire; insomma, la possibilità che il sogno americano bussi prima o poi alla porta anche del più diseredato, concedendogli una seconda chance.
Non certo poca roba. Ed è proprio il cinismo di fondo a fornirci la principale chiave di lettura dell’America di Chaze. Se vi è mai capitato di leggere Jim Thompson, troverete anche tante differenze, soprattutto perché nel caso dell’autore di Colpo di spugna e L’assassino che è in me i toni cupi prevalgono. In Chaze, malgrado tutto, uno sguardo semiserio sul teatrino della commedia umana la fa da padrone. Mi viene in mente un bellissimo film del 1973 di Don Siegel, Chi ucciderà Charley Varrick?, peraltro molto più violento di quanto sia La fine di Wettermark. Resilienza e fatalismo fanno il pari nella costruzione del protagonista, interpretato da un monumentale Walter Matthau, sullo sfondo di una provincia – in quel caso, una cittadina della California – che, per chi abbia avuto modo di visitare gli Stati Uniti staccandosi dalle principali rotte turistiche, è sempre uguale a se stessa, in qualunque angolo di paese si trovi.
Godetevi La fine di Wettermark con la stessa leggerezza con cui Elliott Chaze deve averlo scritto. Dopodiché, se vi va, ingozzatevi di cibi speziati, fingendo per qualche minuto di essere nei dintorni di New Orleans. Anzi, non fatelo proprio. Leggete La fine di Wettermark e, se i commenti poco edificanti di Chaze non vi avranno tolto la voglia, pianificate un bel viaggio dalle sue parti.

 

 

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