Dal premio letterario Campiello arriva una dura strigliata ai narratori senza stile, anzi che scrivono con uno stile “editoriale”, “inodore, insapore” come facessero un selfie, salvo pochi che non si accontentano e non si adagiano. Lo ha detto Lorenzo Tomasin, docente di Filologia romanza all’Università di Losanna, alla presentazione all’università di Padova dei cinque finalisti del 56esimo riconoscimento letterario che verrà assegnato al Teatro La Fenice di Venezia il 15 settembre ed è come sempre sostenuto dalla Confindustria Veneto. La giuria è guidata da Carlo Nordio, magistrato. Per arrivare ai cinque finalisti sono servite quattro votazioni. La giuria tecnica aveva preso in considerazione 248 titoli, 65 si sono guadagnati la segnalazione.
I cinque finalisti sono Helena Janeczek, con “La ragazza con la leica” (Guanda), che ha avuto 9 voti, Ermanno Cavazzoni, con “La galassia dei dementi” (La Nave di Teseo), 6 voti, e Davide Orecchio con “Mio padre la rivoluzione” (Minimum Fax) 6 voti, Francesco Targhetta con “Le vite potenziali” (Mondadori), 6 voti (alla seconda votazione). Uscita senza un finalista la terza tornata, la quarta votazione ha ammesso Rosella Postorino con “Le assaggiatrici” (Feltrinelli), 6 voti.
Ha vinto il premio Campiello Opera prima Valerio Valentini: il romanzo “Gli 80 di Campo-Rammaglia” (Laterza) si svolge in un borgo immaginario nell’aquilano dal nome molto plausibile, Camporammaglia di Sassa, dopo il terremoto del 2009.
A fronte dei giurati (tra cui il critico d’arte Philippe Daverio) che hanno osservato come non siano mancate opere eccelse, cosa ha detto il professor Tomasin? Riferisce l’Ansa: “Abbiamo notato un’assenza quasi generale dello stile. Le opere sono scritte in un italiano non letterario, ma editoriale, con un dilagare di stile inodore, insapore, incolore. Spiccano pregiate esecuzioni di pochi che si sono sforzati di non cercare la semplice trama, come se fosse un corrispettivo letterario del selfie”.