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Eppure Yocheved predica pace

L'85enne israeliana è il primo ostaggio liberato da Hamas. Predica concordia anche se suo marito è ancora nella mani dei terroristi

Eppure Yocheved predica pace
Yocheved Lifshitz
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18 Dicembre 2023 - 14.44


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Questa è una delle esercitazioni svolte dalle studentesse e dagli studenti che stanno frequentando il laboratorio di giornalismo, tenuto dal Professore Maurizio Boldrini. Sono da considerarsi, per l’appunto, come esercitazioni e non come veri articoli.

di Damiano Nifosi

Qui a Gaza la situazione, già abbastanza tesa, sta sprofondando giorno dopo giorno, in un teatrino di cruda violenza che si può leggere sui volti degli scarsi passanti. Ho la possibilità di parlare con alcuni degli ostaggi liberati in precedenza e vado a incontrare proprio la prima prigioniera liberata, Yocheved Lifshitz, 85enne con un passato da attivista. La trovo in un accampamento poco distante dal luogo della sua prigionia, proprio mentre le praticano le prime cure mediche. Ci siamo dati appuntamento per qualche ora dopo, per una chiacchierata nella sua casa del distretto Sheikh Radwan.

Mi racconta di come i terroristi l’abbiano portata insieme ad altri ostaggi in una stanza, accessibile via un tunnel di labirinti sotterranei, dove sono stati divisi a seconda del kibbutz di provenienza ed in seguito hanno ricevuto la visita dal capo di Hamas, Yahya Sinwar, che avrebbe garantito loro protezione, rassicurandoli.

Yocheved è ormai sfinita, sia dal periodo di prigionia, sia dal fatto che suo marito è ancora detenuto dai terroristi come valente merce di scambio. I suoi occhi spenti mi raccontano della paura delle bombe che non risparmiano niente e nessuno in quanto gli israeliani pensano che in ogni edificio, pubblico o privato, i terroristi si siano mischiati ai civili proprio per scoraggiarne la distruzione.

Eppure sul volto di Yocheved nessun desiderio di vendetta. Abbassa la sua voce ma predica la pace, come ha sempre fatto, ed auspica che la tregua possa estendersi al fine di poter intavolare un qualche discorso, anche solo vagamente diplomatico. Ma è quasi sperare in un miracolo visti i trascorsi e le difficoltà a sedersi ad un ipotetico tavolo delle trattative mentre Il dramma degli ostaggi viene perpetrato anche dalla separazione dei figli dai propri genitori.

Dopo qualche ora incontro Hila, 13enne, e sua madre Raya. La ragazzina racconta che è stata liberata mentre sua madre restava ancora prigioniera. Hamas lo ha giustificato asserendo che “non si riusciva a localizzarla, forse in mano ad altri gruppi”.  Ma è Hila stessa a smentirlo dicendo di essere sempre state unite fino a due giorni prima del rilascio. Dopo due giorni, per le pressioni o interessi diversi dei terroristi, ecco finalmente il rilascio anche della madre.

Le ho potute incontrare, una volta riunite, nello stesso accampamento di Yocheved, con la quale hanno condiviso la prigionia. Non è stato facile farle aprire perché apparivano ancora visibilmente sotto shock. Lentamente si sono sentite sempre più a loro agio e hanno fornito un chiaro e raccapricciante racconto sulle condizioni sanitarie e psicologiche terribili, in cui versavano loro stesse e gli altri ostaggi.

Abusi psicologici che lasciano il segno. Mi hanno parlato di continuo assillo da parte terroristi che insistevano con domande e provocazioni senza sosta. Mi hanno parlato della scarsissima alimentazione (“pane azzimo ed acqua sporca”) che gli veniva offerta. Finalmente, però, le due donne oggi mostrano tutta la gioia per essersi ritrovate, anche perché come dice Hila: “Ero convinta che non l’avrei mai rivista, è stato terrificante!”

Non è andata così ai fratelli Noam e Alma, 17 anni lui e 13 la sorella. Raccontano di essere stati rilasciati sabato scorso, dopo aver vissuto da quel 7 ottobre lontani dalla propria madre. Al rientro si aspettavano di riabbracciarla e invece hanno ricevuto la notizia più agghiacciante possibile: era stata uccisa dai terroristi mentre tentava la fuga.

La paura è decisamente palpabile fra le strade della Striscia, gli abitanti sanno che Hamas continua questa sua attività di rappresaglia, spostando, da un luogo di Gaza all’altro, gli ostaggi israeliani stipati nelle camionette. Dall’altro lato Israele che non accenna a demordere reagendo con il pugno duro ed incrementando il numero di attacchi aerei sui luoghi d’interesse.

I 1000 bambini morti e i 3000 feriti fanno riflettere. Anche quando finirà questo massacro quale saranno le conseguenze? Che tipo di socializzazione primaria si può garantire ad un bambino che è sopravvissuto a questo massacro? Come crescerà una generazione che continua a formarsi in una spirale perpetua di violenza?

E mentre questi flussi di coscienza mi tengono sveglio nella notte di Gaza, ecco tornare a suonane le sirene per l’ennesimo attacco aereo.

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