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La street artist Laika racconta la “Rotta dei Balcani”

L’artista mascherata disegna e affigge manifesti murali su quella terra di violenza al confine bosniaco-croato: un monito per un’Europa incapace di intervenire

La street artist Laika racconta la “Rotta dei Balcani”
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6 Febbraio 2021 - 14.40


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di Marcello Cecconi

La Croazia è dal 2013 uno dei 27 Stati dell’Unione Europea e la Bosnia sta per esserlo ma il confine fra di loro sembra non appartenere all’Europa, un pezzetto di terra franca per la disperazione di alcuni e la vergogna di molti. Lì si è recata Laika, la street artist romana, per raccontare e denunciare attraverso i suoi manifesti quello che accade nella Rotta Balcanica che partendo dalla Turchia, attraversa i balcani per terminare, solitamente, in Germania. Un attraversamento con ostacoli di tutti i tipi, che spesso non lasciano scampo, e che ormai i migranti lo chiamano “the game”: un gioco che ha poco di gioco ma che come in un videogioco ci sono le prove da superare come fili spinati, barriere, droni, polizia e molto altro.

“Ho voluto vedere con i miei occhi quali fossero le condizioni di migliaia di persone bloccate alle porte dell’Europa. Freddo, scarsità di cibo ed acqua e violenza da parte della polizia ogni volta che si prova ad entrare in Croazia: è questa la terribile routine dei migranti sulla rotta balcanica. Non c’è nulla di umano nel vivere così”, ha dichiarato Laika.

Quattro i poster realizzati dall’artista mascherata e affissi lì, sul posto, attaccati ai traballanti rifugi di fortuna, ai tronchi degli alberi nei boschi di frontiera, nel campo di Lipa e nei pressi del campo Miral. Un grido di allarme “colorato” per richiamare l’attenzione di tutti e soprattutto un monito per l’Unione Europea che pur nella consapevolezza degli eventi non riesce a mettere in atto le condizioni per fermare la violenza contro queste persone, per accoglierle e garantire loro condizioni di vita umane e fermare, soprattutto, l’indecente traffico di esseri umani. Significative le quattro opere: una raffigura una bambina che gioca al salto della corda fatta di filo spinato; un’altra le cicatrici lasciate dalla polizia di frontiera a forma di UE sulla schiena di un uomo; un’altra ancora le lacrime di ghiaccio che scendono dagli occhi di un bambino per finire con quella con l’immagine della Von der Leyen che si copre gli orecchi al grido di dolore di una donna.

Ma chi è Laika, questa donna che si nasconde dietro una maschera bianca e una parrucca rossa e ha preso il nome dalla cagnetta, primo essere vivente, spedita nello spazio con lo Sputnik? Non è la prima artista di strada a nascondere così l’identità e lei racconta che la maschera non è una necessità di occultarsi ma un filtro per l’impersonalità e la conseguenziale tranquillità di dire e fare ciò che vuole come artista per lasciare dietro la maschera la persona che fa tutt’altro tipo di lavoro e che non vuole mischiare i due piani.

Ha iniziato qualche anno fa con dei bozzetti per delle magliette che sono piaciute agli amici tanto da spingerla ad andare oltre. Così l’autrice/attacchina, come si autodefinisce, ha iniziato ad attaccare sticker in giro per Roma ma l’inizio della sua notorietà è stato il poster per l’addio al calcio di Daniele De Rossi al Testaccio. Ha pensato a progetti più complessi e ha portato a termine il No Eyez On Me, un’installazione murale con otto poster ironici e pungenti che prendevano di mira personaggi politici italiani e internazionali come la sindaca Raggi, Donald Trump e Salvini e dello spettacolo come Jovanotti e Pamela Prati come moglie di Mark Caltagirone.

Da allora non si è più fermata e continua a sperimentare cose nuove avendo come modello l’artista Mimmo Rotella e ammirazione per Banksy e Obey oltre che per i suoi concittadini Diamond, Solo, Maupal, Sten & Lex e Lucamaleonte. A Carlo Madesani  di artslife.com che le chiede se il suo lavoro ha molta pregnanza politica risponde: “È vero, non si può negare. Cerco di essere attenta a ciò che succede nel mondo, da ben prima di creare Laika. Nella mia vita non sempre ho trovato la forza di far valere le mie opinioni. Con la maschera invece ci riesco ma non voglio essere solo quella impegnata. Mi piace anche giocare sulle mie passioni più spicciole, su qualcosa che faccia ridere. Non c’è nessun progetto politico né una linea editoriale. Il mio progetto si chiama libertà di espressione. Penso che la spiegazione sia nell’essenza stessa dell’arte di strada, che è libera e democratica e parla a tutti senza distinzioni –  e aggiunge – Attaccare un poster, disegnare, giocare con la città sono, di per sé, azioni sociali che esprimono un messaggio profondo. Poi ognuno estrinseca questo messaggio come preferisce, secondo le proprie sensibilità, e questa è la cosa che mi piace di più, ma alla base c’è la condivisione e la riappropriazione dello spazio urbano, la volontà di essere protagonisti del paesaggio e non semplici fruitori. Roma in particolare si presta tantissimo perché è una città dei mille volti e dalle mille contraddizioni. È una miniera d’oro per chi cerca ispirazione”.

Aveva ragione Italo Calvino quando nel suo Le città invisibili, diceva: “È l’umore di chi guarda che dà alla città la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su. Se ci cammini col mento sul petto, i tuoi sguardi s’impiglieranno raso terra”.

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