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Emma Dante e la favola nera che toglie la pelle ai sogni

In scena a Palermo, "La scortecata" rilegge un racconto di Basile, scenografia potente ed essenziale

Emma Dante e la favola nera che toglie la pelle ai sogni
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3 Maggio 2018 - 10.25


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di Delia Vaccarello

Due sorelle e un sogno, anzi un grappolo di sogni, che nascono dall’attesa non del principe azzurro ma del Re. L’età è avanzatissima, centenaria l’una, novantenne l’altra. A ridare loro la giovinezza dell’attesa è una fantasticata visita del Re, colpito dalla voce di una delle due. Oltre alla voce, la strategia della seduzione vuole che venga mostrato a sua maestà un dettaglio del corpo, utile a innescare la ridda dell’immaginario sull’intera figura della spasimata. Un dito, il mignolo. Così la scena si apre sul buio e poi con l’esibizione dell’affanno delle due sorelle, Carolina e Rusinella, teso a rendere il mignolo liscio, morbido, giovane. La movenza è erotica, le due donne tengono in bocca ciascuno il proprio dito, che entra ed esce, come sesso che non conosce sosta né godimento. “La scortecata” testo e regia di Emma Dante, in scena al Biondo a Palermo, affronta i temi della sorellanza, del tempo inesorabile, del sogno, perseguito a ogni costo, che in un eterno gioco delle parti tiene in vita le relazioni, fino a quando non ne decreta la morte. Il gioco sta tutto nell’attesa del Re, e nella finzione dentro la finzione. Le due sorelle rappresentano la competizione ma in realtà se l’una aspira all’incontro, l’altra è paga di fare da spalla alla prima, a più livelli. La seconda, la centenaria, sogna il sogno della sorella novantenne. Con dedizione estrema, e i suoi derivati.
Senza illusione non si vive, sembra suggerire la regista.
Sul filo della tradizione settecentesca la parte della donne viene affidata a due uomini, e la resa cattura. Sanno essere brutali le due spasimanti, ma non solo. La tenerezza disperata sembra farsi ancora di più poesia se agìta da un corpo non filiforme né aggraziato. Dopo l’incontro con il re la prescelta, la novantenne canterina, viene buttata dalla finestra, si strazia, invoca aiuto. Il Re avrebbe scoperto l’inganno. Rovesciando i ruoli di Amore e Psiche, la invisibilità violata vede un Re accorgersi che il mignolo, anche se morbido e liscio, appartiene a un corpo di ben altra maturità. Qui Amore, costretto a vedere, s’inceppa. Ma il gioco tra le due sorelle continua. La centenaria vede apparire una fata. Non sei piaciuta? Le fate sono irresistibili, io ti trasformerò.
Eppure non basta. La solitudine si insinua e pare ancella della morte. La tenerezza e il legame tra le due sorelle esplode in un bisbiglio: Come? ti senti sola? Ma se faccio tutto per te, se ho messo a soqquadro la casa, la vita, per questo sogno/gioco che non ti placa.
La scenografia è essenziale per la rilettura de “La vecchia scortecata”, decima fiaba della prima giornata de “Lo cunto de li cunti“ di Giambattista Basile. In scena Salvatore D’onofrio e Carmine Maringola, mossi da un fremito continuo, che è incertezza, inquietudine, caducità. E che a tratti innerva l’eloquio, in gorgheggi e gramelot.
Pochissimi gli oggetti, poveri i costumi, tre stacchi musicali che acchiappano le orecchie della platea. Il sogno/favola rappresentato da un castelletto poggiato su uno sgabello. La super vecchiaia, un cenno all’anzianità dell’oggi, che nel parossismo segnala il conflitto con il tempo: quanto pesa prima di un incontro tanto agognato, quanto pesa se non c’è più attesa. Biancheria intima femminile d’epoca, un lungo telo che serve da tenda dietro la quale si immaginano chissà quali amplessi, i corpi dei due uomini, la parrucca rossa. La porta dalla cui serratura farà la sua comparsa il dito ingannatore. I mignoli così sessuati che servono a evocare il divieto dell’incesto: come è liscio il tuo, me lo succhi tu? No, ognuno succhia il suo.
E infine la lama, il coltellaccio che serve per scorticare. Al termine della corsa, quando si tira troppo la corda, quando si scuoia la pelle del sogno, compare il teschio. La pelle è vecchia, troppo vecchia, voglio una pelle nuova, scorticamela e avrò la gioventù eterna.
Lo farai? Si, lo farò.

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