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Siero, antidoto vaccino. Che differenza c’è e perché non è bene far confusione

E’ dall’inizio della pandemia che molti parlando di “vaccino” usano il termine “siero” e talvolta addirittura “antidoto”. Le parole contano, e i termini tecnici non possono essere confusi o utilizzati a casaccio.

Siero, antidoto vaccino. Che differenza c’è e perché non è bene far confusione
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18 Febbraio 2021 - 22.00


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di Bruno Alfonsi*

 

E’ dall’inizio della pandemia che giornalisti e conduttori televisivi parlando di “vaccino” usano il termine “siero” e talvolta addirittura “antidoto”. Le parole contano, e i termini tecnici servono ad indicare una cosa ben precisa e non possono essere confusi o utilizzati a casaccio.

Provate a immaginare un telecronista sportivo che in occasione di un calcio di rigore dicesse: “Ecco il famoso centravanti che si avvicina al dischetto per tirare il corner assegnato dall’arbitro”.

Tutti si accorgerebbero del marchiano errore di termini e il telecronista verrebbe probabilmente esonerato dal fare telecronache a vita. Errore veniale, tanto “si capisce” ? No, errore da matita blu; e ogni volta che un giornalista lo scrive o lo dice Luis Pasteur, Albert Sabin si rivoltano nella tomba.

Quando un organismo viene attaccato da agenti patogeni esterni (batteri, virus etc.) che chiameremo ANTIGENI, mette in atto una serie di difese. Alcune di queste difese sono di tipo, diciamo, meccanico: la febbre, gli starnuti che vengono considerati “sintomi”, altro non sono che modi per uccidere con il calore o espellere con il “flugge” l’indesiderato ospite. Altre difese sono più sofisticate e costituiscono il sistema immunitario.

Il nostro organismo è dotato di un sistema di riconoscimento dell’ANTIGENE e di produzione di specifiche sostanze che vanno ad attaccarlo e debellarlo. Queste sostanze si chiamano  ANTICORPI o IMMUNOGLOBULINE e sono contenute nel plasma.

Quando siamo entrati una prima volta in contatto con un agente patogeno ci siamo dotati di un patrimonio anticorpale che ci protegge dal ripetersi dell’evento patologico. Se per esempio, incontriamo il virus del morbillo, ma possediamo già un patrimonio anticorpale specifico, nei successivi incontri immediatamente mettiamo in atto le nostre difese. Quindi in soggetti malati si possono somministrare ANTICORPI prodotti da altri (esseri umani o animali) e in questo caso si parla di IMMUNITÀ PASSIVA. Oppure soggetti sani possono incontrare l’antigene e produrre i propri ANTICORPI ed in questo caso si parla di IMMUNITÀ’ ATTIVA. 

L’immunità PASSIVA naturale è quella della mamma che passa al feto i suoi anticorpi attraverso la placenta, quella artificiale si pratica somministrando PLASMA iperimmune o solamente le IMMUNOGLOBULINE (se prodotte da animali appositamente immunizzati si parla degli antichi SIERI come l’antitetanico o l’antivipera) estratte dal plasma di donatori immuni o sintetiche.

L’immunità ATTIVA si ottiene o per via naturale (contraendo la malattia) o somministrando un ANTIGENE (ucciso, attenuato, modificato, ricostruito etc.) tale da non essere patogeno ma al tempo stesso capace di stimolare la produzione di ANTICORPI specifici. Questi sono, finalmente, i VACCINI. Si pratica in soggetti sani, ha valore preventivo e durata lunga nel tempo, in alcuni casi per tutta la vita, in altri occorrono richiami.

Detto tutto questo è chiaro che con vaccino si intende un prodotto destinato a produrre immunità attiva. I sieri sono invece gli anticorpi prodotti da un altro essere e producono immunità passiva. Oggi i sieri non vengono praticamente più utilizzati. Un tempo per la loro produzione si usavano animali (cavalli o bovini) ai quali veniva indotta immunità attiva tramite la somministrazione forzata di antigeni (veleno di vipera, spore tetaniche etc.) in modo che producessero i propri anticorpi. L’animale immunizzato veniva poi salassato ed il plasma estratto subiva un processo di purificazione e riduzione.

Capite bene, quindi, che chiamare “siero” quello che in realtà è un vaccino, risultato di ricerca avanzatissima e tecniche altamente innovative, è un po’ come definire   “calesse” una Ferrari di Formula uno. O meglio, visti gli ultimi risultati delle ‘rosse’  lo si potrebbe fare ma avrebbe solo in un senso ironico e beffardo che tutti subito capirebbero. 

Chiamando poi antidoto un vaccino si toccano vette eccelse di pressapochismo e ignoranza. Per antidoto s’intende, infatti, una sostanza che viene data per ridurre gli effetti di un avvelenamento. Non previene, non immunizza ma, eventualmente cura. Pensando a un antidoto si può forse andare con la mente a Lucrezia Borgia e ai rimedi da mettere in atto se vittime delle sue malefatte, ma non certo a un rimedio in tempo di pandemia.
*Biologo

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