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Gli studenti del Galileo: “La didattica a distanza compromette il nostro futuro”

Davanti al liceo classico di Firenze è in corso un presidio per riprendere le lezioni in aula. Cosa dicono Azzurra, Cosimo e Stefano, sulla scuola chiusa per Covid e su una società troppo disattenta

Gli studenti del Galileo: “La didattica a distanza compromette il nostro futuro”
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21 Dicembre 2020 - 21.53


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Sono studenti, hanno le idee molto chiare. Sulla scuola chiusa per Covid e sul fatto che la cosiddetta società civile, non solo la politica beninteso, ha una scarsa percezione di quanto sia drammatica e possa far danni la didattica a distanza, la ormai famosa “dad” a cui abbiamo fatto l’abitudine come fosse una necessità della vita o, come minimo, una medicina.
Davanti al liceo classico statale Galileo di Firenze, un’istituzione in città dove passano e sono passate chissà quante migliaia di studenti, da non equiparare a certi licei “bene” di Roma per esempio, da fine novembre studenti a rotazione tengono un presidio per rientrare in aula e guardarsi in faccia tra loro e con i professori. Così è anche in una mattina relativamente mite di dicembre nel presidio che prosegue fino a mercoledì 23, giorno ultimo prima delle vacanze natalizie, ma loro sono già pronti a ripartire a gennaio. Perché durante il primo lockdown si poteva capire, osservano, ma da settembre il rientro si è rivelato “una barzelletta” e come società non ci siamo attrezzati. Forse, osservano, tanta scarsa sensibilità è dovuta anche a un fatto anagrafico, a una società che invecchia e ha pochi giovani. In via Martelli a pochi passi dal Duomo sentiamo pertanto le loro ragioni dalle parole di una studentessa e di due studenti, tutti di Quarta, tutti minorenni per cui non ne diamo generalità né li descriviamo.

Dad o non dad?
“Non crediamo che la scuola si possa fare in Dad, c’è un abisso rispetto a quella in presenza, non sono comparabili – risponde per prima Azzurra – Sia per l’apprendimento, per la didattica pura, sia per la socialità. Perché comunque ci troviamo a fare quattro-cinque-sei ore da soli in casa con una lezione puramente frontale dove  viene a mancare una componente fondamentale come l’interazione con i professori e con i nostri compagni: la soglia d’attenzione è bassissima, è uno sforzo immane seguire, non distrarsi, prendere appunti, capire tutto. Non è sopportabile. Si poteva accettare a marzo quando al primo lockdown eravamo tutti impreparati, nessuno avrebbe mai pensato a una pandemia però c’è stato il tempo e ci sono le conoscenze per farci tornare a settembre in presenza e non a una scuola a singhiozzo”. Difficile contestare queste parole. Ancor meno la prospettiva che Azzurra vede davanti a sé: “Ne va del nostro futuro”.
“Con la Dad di perdono molti aspetti. Come il parlare con i compagni o vedere le persone. Ho perso anche un po’ la voglia di stare dietro alle lezioni, con la Dad è più facile distrarsi”, concorda Stefano, anche lui di una quarta.
Dice la sua anche Cosimo, sempre di una IV: “Il rapporto con i professori in dad si è deteriorato: qualsiasi rapporto umano non può funzionare a livello stretto ed emotivo con qualcosa come la didattica a distanza e un computer. Anche un rapporto tra alunno e professore che va dalla semplice interrogazione al rapporto vero ne risente: poter domandare e farsi spiegare qualcosa viene vanificato”. La Dad, aggiunge, complica tutto: “Ci sono studenti che, magari perché non se la sentono o non hanno voglia, tendono a non farsi vedere, a non accendere le telecamere, a non parlare; dall’altra parte ci sono professori che non sono preparati a usare un mezzo elettronico perché nessuno glielo ha mai insegnato. Oppure quando sono preparati si trovano a dover parlare a delle icone o a facce in un computer, quindi di una spiegazione si perde tutto il valore umano e ciò che rimane sono semplicemente valori nozionistici, freddi, che non rappresentano la scuola a cui vorremmo partecipare. Soprattutto non rappresentano un’istruzione vera che è in gran parte data dal rapporto tra un professore e i suoi alunni. Per questo siamo qui a chiedere che si torni a scuola per fare didattica vera”.

“Siamo animali sociali, non si può vivere online”
L’esigenza è profonda e queste parole dimostrano un bisogno che molti adulti non percepiscono, divorati come siamo dal dramma in corso e dal lavoro o dalle prospettive che mancano. Nelle parole di questi studenti emerge tuttavia anche qualcosa di radicale che riguarda ogni aspetto della nostra società, sotto sotto anche i suoi metodi e principi di democrazia. Alla domanda se andiamo verso una cultura dove tutto si può fare online, dai concerti alle mostre e altro, Azzurra risponde con lucidità e un timbro appassionato: “Credo che l’essere umano sia un essere sociale. In classe mi rendo conto che quando non sto attenta il professore mi richiama o chiede se tutti ci siamo. Anche il semplice guardarsi negli occhi per capire se siamo sull’argomento oppure no. Anche con i compagni fai una risata, scambi due parole nell’intervallo, incontri altre persone. È molto meglio che essere nello stesso ambiente dalla mattina alla sera, diventa alienante e frustrante. Sì, la componente umana è fondamentale nella scuola come in altri ambiti. Da studentessa vivo la scuola e sento che mi manca una parte del presente che andrà a incidere sul mio futuro”.
Già: stiamo incidendo sul loro futuro. “È possibile far determinate cose online, può essere una soluzione solo temporanea – rimarca Stefano – Un concerto può essere online ma è molto meglio dal vivo. Come la scuola: a distanza può essere solo temporanea, a distanza si perde quel contatto umano tra alunno e professore. Quindi no, non è possibile fare una vita a distanza”. Non esita, ha idee precise.

“La sottovalutazione sociale della scuola”
Il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha però provato in tutti i modi a tenere aperte le scuole, però il problema è quello dei trasporti troppo affollati. “Vengo da lontano e il problema dei trasporti c’è – riconosce Stefano – trovi a volte il treno pienissimo e diventa difficile. Per quanto possano averci provato il problema più grande è lì più che nella scuola. Ma secondo me il problema della scuola viene sottovalutato molto a livello sociale”. Forse perché siamo una società vecchia? “Il problema può essere che l’Italia è oggettivamente un paese con un’età media molto alta – risponde lo studente – Per questo il problema è poco sentito a livello sociale ed è sbagliatissimo. Intanto si dovrebbe parlare di più queste problematiche. Anche ai tg si sente parlare di tutto il resto e per quanto per ristoranti e altro siano problemi gravissimi della scuola si parla poco. Spostandomi dal piano sociale a quello politico, in primis dovrebbero concentrarsi, sugli investimenti nella scuola. Qui siamo in un edificio abbastanza piccolo e non ci sono gli spazi. Ci siamo trovati in classi negli anni passati con le persone stipate e in situazioni ingestibili. Una soluzione sarebbe investire molto di più nell’istruzione”. Parole sacrosante.

“Per un rientro vero, non un contentino”
“Vero che la Azzolina si è battuta – chiosa Cosimo – Ma a livello istituzionale non abbiamo mai trovato un supporto, oltre a qualche membro del Cts, il Comitato tecnico scientifico, nessuno si è esposto. Ci hanno detto che è necessario agire in questi termini quando in Europa vediamo le scuole restare aperte. Quindi noi siamo qui a manifestare per chiedere che il 7 gennaio sia un rientro vero e non un contentino per poi farci tornare a casa. E che sia un rientro sicuro per tutti quanti”.

Il sito del Galileo di Firenze

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