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Dall'aborto all'arte, come il femminismo cambiò le donne

A Milano la mostra "Il soggetto imprevisto" documenta battaglie, prese di coscienza e opere d'autrice negli anni '70 in Italia. Un testo di Raffaella Perna riflette su quel decennio e l'oggi

Dall'aborto all'arte, come il femminismo cambiò le donne
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9 Aprile 2019 - 20.20


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Il 24 aprile 1976 Paola Agosti fotografava un incontro dei collettivi femministi sui consultori e tenuto alla Casa delle donne di Roma nel 1976. Erano anni in cui si parlava di aborto, il referendum che lo approverà arriverà nel 1978 mentre quello per il divorzio era del 1974. Sembrano diritti acquisiti. Non è così. Oggi, in questi giorni, in queste settimane, come ben sapete diritti conquistati dalle donne sono nel mirino di forze di destra, di estrema destra, di ultraclericali, di parlamentari leghisti (vedi Pillon) ai quali qualche pentastellato dà sostegno (pensate alla Cinque Stelle che ha partecipato “a titolo personale” al convegno sulle famiglie di Verona).
In altre parole, è bene parlare di femminismo e magari ricordarsi delle sue battaglie. Anche nella cultura. All’ Fm Centro d’arte contemporanea di Milano, in via Piranesi 10, è in corso fino al 26 maggio una mostra che fa pensare a quelle conquiste, ai diritti negati, anche al #metoo, volendo: “Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia”. I curatori Marco Scotini e Raffaella Perna vogliono ricostruire i rapporti tra arti visive e movimento femminista negli anni ’70 perciò vi proponiamo, su concessione degli organizzatori, il brano iniziale del saggio in catalogo di Raffaella Perna su “Arte e femminismo in Italia”.
Hanno collaborato alla mostra il Mart Museo d’arte contemporanea di Trento e Rovereto e Frittelli Arte Contemporanea.

Raffaella Perna: Arte e femminismo in Italia, ragioni di una mostra

Il 22 maggio del 1978, in un’Italia profondamente scossa dalla morte del Presidente del Consiglio Aldo Moro, ucciso il 9 maggio dalle Brigate Rosse, il Parlamento approva la legge che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza. Benché controversa, la legge 194 rappresenta per il movimento femminista un’altra vittoria epocale, dopo quelle ottenute con il referendum sul divorzio (1974) e la riforma del diritto di famiglia (1975). Grazie alle lotte condotte dai gruppi femministi e dalle organizzazioni delle donne, negli anni Settanta, il volto del Paese muta radicalmente.

Il mondo dell’arte non rimane impermeabile al cambiamento: numerose sono le artiste, i collettivi, le critiche e le storiche dell’arte che, malgrado resistenze e ostracismi, abbracciano il pensiero e le pratiche del femminismo. Dal sodalizio tra Carla Lonzi, originale storica dell’arte, e Carla Accardi, artista di punta dell’astrattismo del dopoguerra, nasce nel 1970 Rivolta femminile, gruppo tra i più radicali del panorama italiano. La figura di Lonzi è oggi al centro di un vivo interesse critico; sempre più ricco è anche il novero di ricerche che, con metodologie e prospettive diverse, affrontano le relazioni tra arte e femminismo in Italia. Nell’ambito accademico, o in parte di esso, l’importanza del pensiero femminista nell’arte italiana è un dato ormai acquisito. Ma il fatto che questa acquisizione sia un fenomeno piuttosto recente – che ha avuto un primo impulso negli anni Novanta e uno slancio crescente soltanto nell’ultima decade – non è un elemento privo di ripercussioni.

Da Se non ora quando a Non una di meno
Al rinnovato interesse emerso in questi anni hanno contribuito fattori molteplici, interni ed esterni alla storia dell’arte: la risonanza di alcune importanti mostre internazionali come Global Feminisms al Brooklyn Museum di New York (2007), WACK! Art and Feminist Revolution al MOCA di Los Angeles (2007), Elles@centrepompidou a Parigi (2010), sino alla più recente Radical Women: Latin American Art, 1960–1985 allo Hammer Museum (2017), ha coinciso con una rinvigorita azione politica del femminismo.

La forza d’urto dei nuovi gruppi attivi nel Paese, tra i quali Se non ora quando e soprattutto il più giovane Non una di meno, insieme alla diffusione del movimento transnazionale #MeToo, ha avuto nel recente passato e continua tuttora ad avere importanti ricadute sulla cultura italiana. In questo mutato scenario politico, una nuova generazione di studiose sta ponendo in discussione la storiografia consolidata che per circa tre decenni ha trascurato, con poche eccezioni, l’analisi dei rapporti tra arte e femminismo e, più in generale, del ruolo delle donne nella storia dell’arte italiana. Una rimozione, quest’ultima, ancora tangibile nelle collezioni private e pubbliche del nostro Paese (dove la disparità tra le opere di artiste e artisti è stridente) e che ha trovato conferma, in anni recenti, nelle grandi esposizioni dedicate all’arte degli anni Settanta, tenutesi a Milano e a Roma, accomunate da una ridottissima presenza di donne.

Un decennio nevralgico
La mostra Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia mira a raccontare il decennio dei Settanta come un momento nevralgico nella storia dell’arte italiana del XX secolo durante il quale la diffusione del pensiero femminista ha prodotto una nuova consapevolezza critica, e autocritica, che ha spinto molte artiste a ripensare il proprio ruolo nella società, a rivendicare spazio nei musei e nelle istituzioni, a denunciare la carenza di visibilità e le discriminazioni subite, a lavorare in gruppo condividendo il proprio vissuto e talvolta le proprie ricerche artistiche. La mostra ruota attorno a una data simbolica, il 1978, anno in cui Mirella Bentivoglio, dopo circa un decennio di attività curatoriale volta a promuovere il lavoro delle colleghe artiste, organizza la mostra Materializzazione del linguaggio nell’ambito della XXXVIII Biennale di Venezia, presentando circa ottanta artiste, italiane e internazionali, operanti prevalentemente nel campo verbo-visivo.

Inaugurata ai Magazzini del Sale il 20 settembre 1978, oltre due mesi e mezzo dopo l’apertura ufficiale della Biennale, la mostra non ebbe la recezione sperata: nonostante gli sforzi della curatrice, che mise in campo la sua estesa rete di relazioni con poetesse visive e artiste internazionali, l’esposizione fu gestita dall’amministrazione come un evento minore, una sorta di risarcimento per la quasi totale assenza di donne nella sezione principale della rassegna, ad eccezione della retrospettiva dedicata a Ketty La Rocca, prematuramente scomparsa nel 1976.

Nell’area dei Magazzini del Sale alle Zattere, alla Biennale del 1978, si tennero anche le mostre del Gruppo Femminista Immagine di Varese e del Gruppo Donne/Immagine/Creatività di Napoli: si venne così a creare, all’interno dell’Esposizione, un’area al femminile concepita per compensare l’esclusione delle donne dalla rassegna ufficiale, che di fatto ne amplificò la marginalità. L’efficacia delle mostre di sole donne – i cosiddetti “ghetti rosa” – fu già all’epoca una questione molto dibattuta e che a tutt’oggi lascia perplessi. La critica femminista ha in più occasioni sollevato le contraddizioni e i rischi insiti in rassegne espositive fondate sulla separazione tra i sessi per meglio garantirne l’uguaglianza. E soprattutto ha posto in luce come, per riscrivere la storia dell’arte da una prospettiva femminista, non basti aggiungere una manciata di nomi di donne a una narrazione basata su canoni e strumenti analitici maschili.

Questioni aperte
Per chi, come me, da diversi anni si impegna nella storicizzazione dei legami tra arte e femminismo, queste rimangono questioni aperte con cui fare i conti nella pratica storico-critica e curatoriale. Tuttavia, la consapevolezza della perdurante difficoltà di accesso alle mostre, alle istituzioni e alle collezioni di molte artiste del dopoguerra italiano fa sì che una mostra come questa, promossa da partner pubblici e privati di peso internazionale, si presenti come l’occasione, sotto certi aspetti eccezionale, per un’ampia ricognizione storica volta a valorizzare e approfondire la conoscenza di episodi e figure non sempre noti oltre la cerchia degli specialisti. Grazie agli studi recenti – molti dei quali pubblicati dalle autrici e dagli autori presenti in catalogo – la mostra intende fare emergere la natura complessa e geograficamente ramificata dei legami tra sperimentazione artistica e pratica femminista.
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