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Il quaderno dal carcere fascista di Gildo, che divenne sindaco comunista

Dal libro di Claudio Visani e Viscardo Baldi "I comunisti nella terra dei preti" pubblichiamo un brano su Ermenegildo Montevecchi, eletto primo cittadino di Brisighella dopo la prigionia, la Resistenza, il lager

Il quaderno dal carcere fascista di Gildo, che divenne sindaco comunista
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4 Settembre 2018 - 10.12


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“I comunisti nella terra dei preti – Storia e personaggi del Pci, Brisighella 1921-1991”, scritto da Claudio Visani e Viscardo Baldi, edito da Valfrido con il contributo della Fondazione Bella Ciao (pp. 224, euro 15) racconta una grande storia, quella del Partito comunista italiano. La ricostruisce attraverso gli occhi e l’esperienza di una piccola comunità, narrando le vicende personali, politiche e sociali di chi quella storia l’ha vissuta e costruita, sulla base anche di una ricca documentazione storica e fotografica. Il volume tesse i fili di una storia che ha molti agganci con l’oggi e induce chi legge a una riflessione, tra altre: vediamo gli effetti nefasti dello smantellamento delle comunità della sinistra nelle città, nelle campagne, nei piccoli paesi. A un anno dalla pubblicazione “I comunisti nella terra dei preti” ha avuto ottimi riscontri tanto che Baldi e Visani lo presentano sabato 8 settembre alle 19, nella libreria della Festa dell’Unità di Bologna, padiglione 38 della Fiera, affiancati dai giornalisti Serena Bersani e Claudio Santini. Pubblichiamo un’introduzione al libro scritta per globalist.it da Visani e un estratto dall’ottavo capitolo.

Claudio Visani: comunisti nella “città dei cardinali”

Brisighella è nota per essere “la città dei cardinali”. Dal dopoguerra agli anni Ottanta era, assieme a Faenza, “l’isola bianca” della Romagna comunista e Repubblicana. Ma agli inizi del secolo scorso era l’idea socialista a prevalere. E dopo la scissione di Livorno che nel 1921 diede vita al PCd’I, i comunisti brisighellesi furono tra i primi ad aprire sezioni del nuovo partito e a subire, poi, le persecuzioni del regime fascista. Attivi nell’attività antifascista clandestina e protagonisti della Resistenza, i militanti e i dirigenti del PCI riuscirono poi, nel dopoguerra, nonostante la dura sconfitta del 18 aprile 1948 e il successivo predominio della Dc e dei potentati ecclesiastici del territorio, a costruire un partito di massa, di lotta e di governo, che ha espresso tre sindaci e che ha avuto fino a 800 iscritti su poco più di 2.000 elettori.
Questo libro racconta la storia del Partito comunista a Brisighella, dalla nascita nel 1921 alla trasformazione nel Partito democratico della sinistra (PDS) avvenuta nel 1991. La racconta sulla base di una ricca documentazione – scritta e fotografica – recuperata in diversi archivi. La racconta, soprattutto, ricostruendo le storie e le vicende personali e politiche dei “comunisti brisighellesi nella terra dei preti” che quella storia l’hanno faticosamente costruita e vissuta. Una ricostruzione frutto delle testimonianze dirette di chi c’è ancora e, per chi non c’è più, di vedove, figli, nipoti, amici e compagni di lotta. Un recupero della memoria che fa scoprire pagine drammatiche e commoventi di chi all’ideale politico e di partito ha sacrificato tutto, a volte anche la vita: come Luigi Fontana, uno dei fondatori del PCd’I, arrestato, condannato e morto per le conseguenze delle torture e della carcerazione; o come Renato Emaldi, il professore di Fusignano venuto a morire nei monti brisighellesi per la causa comunista e della Resistenza.
Da questo lavoro emerge uno spaccato di 70 anni di storia di una comunità, oltre che di un partito. Non solo. Osservando le storie personali e le vicende politiche del “microcosmo brisighellese” si ripercorrono e si comprendono alcuni dei passaggi più significativi della storia d’Italia: dall’insorgere del regime fascista alle persecuzioni dei “sovversivi” e all’attività clandestina dei comunisti nel Ventennio, dalla tragedia della Guerra al riscatto democratico della Resistenza e della Liberazione dall’occupazione tedesca, dalle battaglie unitarie di braccianti, mezzadri e operai nel primo dopoguerra alle contrapposizioni politiche e ideologiche tra social-comunisti e democristiani degli anni Cinquanta e Sessanta, dal movimento del Sessantotto per l’emancipazione giovanile e femminile al Compromesso storico e alla stagione politica del Pentapartito.

Ermenegildo (Gildo) Montevecchi e il suo Quaderno dal carcere
Ermenegildo (Gildo) Montevecchi è una delle figure più importanti nella storia del PCI di Brisighella: comunista della prima ora, perseguitato e incarcerato dal fascismo, protagonista della lotta di liberazione, primo sindaco comunista eletto in Comune. Gildo nasce l’11 dicembre 1900 a Strada Casale dove la famiglia Montevecchi è proprietaria di un ampio fabbricato in buona parte occupato dalla bottega di falegname ed ebanista del padre. La madre invece si occupa della casa e gestisce un piccolo commercio di latte e prodotti dell’orto. Una famiglia abbastanza agiata per quel periodo, composta dai genitori e da quattro figli. Gildo, dopo aver fatto le scuole di base, da ragazzo intraprende il mestiere del padre e impara anche a fare il barbiere: nei feriali lavora nella falegnameria e al sabato e alla domenica taglia barbe e capelli. Evita per un niente la Grande Guerra – che dopo la disfatta di Caporetto vide la chiamata alle armi dei“ragazzi del ’99”– va soldato nei bersaglieri e una volta finita la leva torna a casa. Qualche anno dopo si sposa con Ada Cappelli da cui ha, nel 1933, l’unica figlia: Antonietta….
… Il 12 giugno 1927 Gildo viene arrestato dai fascisti e successivamente condannato a due anni di carcere con l’accusa di essersi «adoperato per riorganizzare il Partito comunista a Marradi, Fognano, San Cassiano e Strada Casale», per aver «svolto riunioni politiche e fatto propaganda politica nel suo negozio di barbiere» dove «si danno in lettura opuscoli sovversivi stampati alla macchia». Viene rinchiuso prima nel carcere di Borgo San Lorenzo poi alle “Murate” di Firenze. Verrà scarcerato il 6 giugno del 1929 e sarà comunque sempre tenuto sotto sorveglianza negli anni successivi… Nel carcere delle “Murate”, che negli anni della guerra diventerà tristemente famoso come centro di raccolta e tortura dei perseguitati politici e dei partigiani catturati dai nazifascisti, Gildo ottiene il permesso di poter scrivere e giorno dopo giorno compila a mano un quaderno a righe di oltre 150 pagine. Il quaderno ha la copertina nera e il bordo rosso, come molti dei Quaderni di Gramsci. È timbrato “Direzione Carcere Giudiziario Firenze” in tutte le pagine, in alto a destra. Naturalmente, come tutte le corrispondenze dal carcere dei perseguitati, è sottoposto a censura, preventiva e post. Ma in alcune pagine emerge tutta la drammaticità del suo arresto e della sua detenzione. Eccone alcuni estratti:
«Un lunedì sera, il 6 giugno 1927, mentre me ne tornavo tutto contento a casa dopo aver passato tutta la serata con la mia amata, arrivando nelle vicinanze di San Cassiano sentii intimarmi il fermo e io subito ubbidii: potevo credere io in quel momento a ciò che stava avvenendo su di me? Non sapevo nulla e nemmeno potevo immaginarlo. Fui subito messo ai ferri, non sapevo spiegarmi perché, che cosa avessi fatto. Ma più tardi, giunto alla stazione dei carabinieri, dovetti subire interrogatori e vili accuse. Non sapevo più cosa succedeva, piansi sempre, non sapevo rassegnarmi, passai 11 giorni in quella caserma che mai potrò dimenticare…
…Fummo dunque mandati qua (al carcere delle Murate, ndr), nel viaggio tutti ci guardavano, specialmente quando scendemmo alla stazione di Firenze. Non eravamo soltanto con le manette ai polsi, ma anche con le catene, legati quattro a quattro, camminavamo con il rumore dei ferri e i carabinieri dietro. Chissà cosa avranno pensato di noi? Chi poteva credere che fossimo buoni cittadini? La vergogna che provai quel giorno non la dimenticherò mai….
…Non so dove la finestra (della mia cella, ndr) guarda, non scorgo né la terra né il cielo, non mi giunge né il sole né il chiaro della luna. A volte mi getto come un gatto, mi attacco con le mani ai ferri [dell’inferriata, ndr], ma null’altro posso scorgere della vita che la grande cinta [muraria, ndr] che divide la mia libertà da questa terra…
…Nulla si sente, tutto tace in questa mia tomba. Nessun oggetto vedo, solo la candela che fa una piccola fiamma giallastra, come un cero su una fossa. Guardo al soffitto, è fatto a volte, ha proprio l’aria di una vera tomba».
Nel diario ci sono poi le lettere di Gildo ad Ada. Sono odi d’amore, in prosa e anche in poesia, qualcuna scritta in stampatello, altre in dialetto romagnolo. A volte emerge la gelosia, la paura di perdere l’amata; spesso Gildo si fa prendere dallo sconforto per la lontananza e per il timore di non uscire vivo da quella cella. Una volta scrive alla madre di Ada, Caterina, per convincerla a dargli la figlia in sposa. Un’altra si rivolge al cappellano del carcere per chiedere cosa deve fare per sposare Ada, ma gli dicono che in carcere non si può e lui lo scrive, sconfortato, in stampatello: «GILDO E ADA SPOSI. Murate NON SI PUÒ».
Una volta tornato a casa, Gildo riprende la sua attività politica clandestina. Assieme al professore di Fusignano Renato Emaldi – mandato dal Pcd’i ravennate in montagna a convincere i giovani ad entrare nella Resistenza – e all’ex anarchico passato con i comunisti, Amedeo Liverani, Ravasol, sarà protagonista dell’organizzazione dei primi gruppi di lotta armata contro l’occupazione tedesca nella zona alta di Brisighella. Nel 1943 viene nuovamente arrestato e deportato in Germania. Resta richiuso in un campo di concentramento fino al 3 di agosto del 1945, da cui viene liberato dall’Armata Rossa. Nel 1949 diventerà il primo sindaco comunista eletto di Brisighella.

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Brisighella: i comunisti nella terra dei preti

 

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