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La memoria va allenata ma la sindaca di Roma dà lo sfratto al Medioevo italiano

La Raggi vuole cacciare dai locali che occupa da 97 anni nel palazzo Borromini, l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, la massima istituzione che studia e divulga la memoria di quella storia eccezionale.

La memoria va allenata ma la sindaca di Roma dà lo sfratto al Medioevo italiano
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Gabriella Piccinni Modifica articolo

22 Novembre 2020 - 11.10


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Cos’è è stato il Medioevo italiano nella storia d’Europa lo sanno in tutto il mondo. Unica al mondo a non saperlo sembra essere Virginia Raggi. 

La sindaca di Roma ha sfrattato, infatti, dagli splendidi locali che occupa da 97 anni nel palazzo Borromini, l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, cioè la massima istituzione che in Italia raccoglie, tramanda, studia e divulga la memoria di quella storia eccezionale. Sbigottito il suo presidente, il professor Massimo Miglio, che annuncia battaglia legale. Sdegnati, vicino alle persone di cultura e agli amanti dell’Italia sparsi per il mondo, tanti cittadini che stanno avviando una raccolta di firme. Pronti ad affilare le armi delle interrogazioni alcuni parlamentari. Già mobilitato, si dice, il Mibact al quale è affidata la vigilanza sull’Istituto, questo vanto dell’Italia nato 137 anni fa per dare «unità e sistema alla pubblicazione delle fonti di storia nazionale» e per «creare negli italiani una consapevolezza della propria storia”.

La storia nazionale, appunto. Eh già, perché nella lettera che notifica lo sfratto si legge che i locali servono per l’Archivio storico capitolino, e lasciamo perdere il fatto che chi l’ha scritta sembra non sapere nulla dei grandi spazi al secondo e terzo piano dello stesso palazzo restaurati nel 2006 dal comune di Roma proprio a questo scopo e poi lasciati vuoti. Creando dal nulla uno squallido balletto di concorrenze, lo sfratto mette la memoria di Roma contro la memoria della nazione. Forse Virginia Raggi ritiene che un istituto che appartiene a tutti non appartenga anche a Roma? Forse per questo pensa di potergli richiedere, in perfetto burocratese, di “rilasciare bonariamente i locali, liberi da persone e cose, entro 90 giorni dal ricevimento della presente”? Di liberali, quindi, in ordine:

dai 100.000 libri di una biblioteca aperta al pubblico;

dalle serie di 760 riviste scientifiche italiane e straniere;

dal suo archivio storico;

dalle antiche librerie di legno massello che arrivano fino agli altissimi soffitti;

dagli imponenti tavoli di legno e da tutti gli oggetti preziosi dell’arredo storico.

Sciorinare solo qualche nome importante, scelto alla rinfusa, basta per ricordare qui cos’è l’Istituto. Il nome dell’ispiratore, Ludovico Antonio Muratori, nel XVIII secolo primo grande raccoglitore di cronache italiane. Quello di Giosuè Carducci che fu il garante scientifico delle loro riedizioni, dal 500 al 1500. Quello di Federico II, alla cui cancelleria appartiene il primo volume pubblicato di una lunghissima serie. Quello di Giovanni Gentile che nel 1923 vi istituì la Scuola Storica Nazionale. Quello di Pietro Fedele che inaugurò la nuova sede. E poi di grandi storici come Giorgio Falco, Raffaello Morghen, Gina Fasoli, Arsenio Frugoni, Girolamo Arnaldi, Ovidio Capitani, Elio Conti…

Ci dicono gli scienziati che la nostra memoria è come un muscolo, e va allenata. Ma oltre a quello individuale, anche il corpo sociale ha la capacità di conservare traccia più o meno completa e duratura degli eventi, di stimoli esterni, immagini, sensazioni, racconti e idee. Oppure ha il potere di rifiutarli. I luoghi di studio, questo fascio di oggetti, libri, di relazioni umane e formative, sono dunque le palestre per migliorare memoria individuale e memoria sociale. In queste palestre si confronta il passato con il presente per mettere quest’ultimo in costante discussione. Perché il futuro, il cambiamento, nascono dalla nostra capacità dialettica con la memoria. 

Chi si pensasse come un buon amministratore e intanto mettesse in concorrenza la consapevolezza del passato con il presente, il locale con il nazionale, sarebbe nel caso migliore un primordiale. Perché è un fatto che solo i popoli che hanno raggiunto una civiltà elevata hanno conservato intenzionalmente i loro ricordi, passando via via dalle tradizioni vaghe dei tempi più antichi ai racconti leggendari, fino a narrazioni piene di particolari. Soltanto chi ha coscienza di sé ha ricordi della propria vita interiore ed esterna, e sa che oggi è la continuazione di ieri e la preparazione di domani; che il dopo è la conseguenza del prima. Che l’ieri e il prima vivono nella memoria e guidano pensieri e azioni, anche quando questi siano rivolti al futuro o – addirittura – rinneghino il passato (cito liberamente da Gina Fasoli).

 

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