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Joan Rosés: le diseguaglianze fra territori crescono, il populismo prospera

Anche il divario fra zone diverse è pericoloso. Pubblichiamo una sintesi dell'intervento che l'economista della London School of Economics tiene alla Biennale Democrazia di Torino

Joan Rosés: le diseguaglianze fra territori crescono, il populismo prospera
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27 Marzo 2019 - 13.14


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A Torino da oggi mercoledì 27 a domenica 31 si tiene la sesta “Biennale Democrazia” dal titolo “Visibile Invisibile” . Con 251 relatori da tutto il mondo, per complessivi 133 incontri, gli organizzatori vogliono “individuare le distorsioni del nostro tempo, comprenderle e cercare di superarle” in discipline che vanno dalla politica all’arte, dalla filosofia al diritto, dall’economia all’architettura, dalla scienza allo sport, più un concerto di Goran Bregovic e altro. La kermesse è un progetto della Città di Torino realizzato dalla Fondazione per la cultura del capoluogo piemontese.

Il sito della Biennale Democrazia

La manifestazione coinvolge molte tra l’altro 2300 studenti, 90 classi, 150 volontari, si inaugura oggi alle 18 al Teatro Regio con una lectio magistralis di Adriano Prospero e si divide in quattro filoni: “Luci e ombre”; “La società̀ della trasparenza”; “Legami invisibili”; “Dal tramonto all’alba”. Dal filone “Luci e ombre”, su gentile concessione degli organizzatori tramite la Babel Agency, pubblichiamo una sintesi del libro “Contro le diseguaglianze. una nuova economia della conoscenza” di Joan Rosés con Nikolaus Wolf. La studiosa parla domenica 31 marzo alle 18.30 all’Auditorium Vivaldi, in dialogo con Mario Calderini in un appuntamento realizzato con Torino Social Impact.
Joan R. Rosés dirige il Dipartimento di Storia economica presso la London School of Economics and Political Science.

Joan R. Rosés e Nikolaus Wolf: Il ritorno delle diseguaglianze regionali

L’aumento delle diseguaglianze, vale a dire del divario tra reddito personale e distribuzione della ricchezza, è motivo di crescente preoccupazione. Studi recenti hanno evidenziato come la crescita del reddito in tutta le società OCSE verificatasi nel dopoguerra sia da considerarsi più un’eccezione storica che non un trend da aspettarsi per il futuro. Il periodo si è concluso negli anni Ottanta del secolo scorso, quando i redditi più alti hanno subito un’impennata, con conseguente stagnazione dei redditi medi e un grave declino di quelli più bassi.

È sempre più chiaro come questo non si applichi solo alla diseguaglianza tra gli individui, con un crescente divario tra poche persone molto ricche e tutti gli altri, ma determini anche diseguaglianze regionali a livello nazionale e internazionale. Nel nostro libro The Return of Regional Inequality (Il ritorno delle diseguaglianze regionali) si identificano le origini remote del fenomeno, seguendo lo sviluppo di 173 regioni europee dal 1900 al giorno d’oggi. I risultati somigliano in maniera impressionante a quelli di Piketty (2014) e di altri studiosi di diseguaglianze individuali: lo sviluppo ha un andamento a U, con un punto di svolta collocabile intorno al 1980.

Realtà regionali europee sempre più simili fino agli anni ’80 del ‘900
A partire dal 1900, le realtà regionali sono diventate sempre più simili, fatta eccezione per il periodo tra le guerre. Tale processo di convergenza, in questa parte del mondo come in altre, ha subito un’accelerazione dopo il 1945. All’epoca il cambiamento è stato determinato da mutamenti strutturali: le regioni dove prima dominava l’agricoltura hanno raggiunto le altre in termini di occupazione nei servizi e nell’industria. Questo processo, a sua volta, è stato facilitato dall’integrazione dei mercati delle merci, del capitale e della forza lavoro, e del diffondersi di tecnologie tra cui l’elettricità. Il tutto ha portato a una convergenza di condizione tra stati e tra regioni interne ad essi.

Tuttavia, con l’arrivo degli anni Settanta del secolo scorso, il processo di convergenza è rallentato, fin quasi a fermarsi in Europa. Questo ha significato che, in termini relativi, dagli anni Ottanta in poi alcune regioni hanno cominciato ad avere risultati molto migliori di altre. Il quadro di tali cambiamenti è relativamente stabile ma ci sono anche stati dei veri e propri rovesciamenti delle sorti. Le poche regioni che hanno avuto fortuna nel 1900 sono ancora tra quelle più dinamiche d’Europa; si tratta delle zone intorno alle capitali.

Le zone industriali che si sono salvate
Diversamente dalla stabilità che ha interessato le regioni in cui si trovano le capitali, tra le zone industriali europee si riscontra una notevole diseguaglianza. Alcune delle regioni a vecchia industrializzazione sono riuscite a mantenere la propria posizione e ricchezza industriale; tra esse figurano Catalogna, Lombardia e Württemberg settentrionale. Queste aree sono sempre state meno dipendenti dal carbone e dall’industria pesante, e più specializzate nella produzione di veicoli e macchinari.

Le “zone industriali perdenti”
Al contrario, altre zone un tempo prospere si trovano oggi molto arretrate. Un esempio lampante è quello della regione di Hainaut in Belgio, che nel 1900 era una delle parti più ricche d’Europa mentre oggi è tra le più povere dell’UE. Che cos’è successo? Regioni come queste possono essere definite ‘zone industriali perdenti’ essendo tutte caratterizzate da un’alta presenza di industria, soprattutto pesante ed estrattiva, che aveva un grosso peso dell’occupazione regionale totale. Dal punto di vista pratico, la prossimità alle miniere di carbone nel 1900 è stata un vantaggio in termini di sviluppo economico, ma si è poi trasformata in svantaggio negli anni Sessanta.

Complessivamente, la quota di occupazione dell’industria sul totale ha raggiunto il massimo intorno agli anni Settanta del secolo scorso, e ha cominciato a decrescere da allora. Quelli che erano stati centri di modernizzazione hanno cominciato a rimanere indietro sia in termini di reddito che di popolazione, cosa che a sua volta ha indotto un calo dei valori immobiliari e della ricchezza. Ciò che ha portato a tutto questo è la nuova divisione globale del lavoro: l’Europa (così come gli USA, il Giappone e gli altri paesi OCSE) ha subito un calo dell’occupazione a vantaggio dei paesi in via di sviluppo, mentre ha registrato un aumento nei servizi commerciabili. I servizi finanziari ne sono un esempio, ed è cresciuta oltremodo la quota con cui contribuiscono al valore aggiunto. Questo a sua volta ha determinato un vantaggio per le regioni dove si trovano le sedi delle grosse banche, delle assicurazioni e le borse.

Isole di prosperità in un mare di stagnazione
La ‘coerenza spaziale o territoriale’ è un’altra chiave per comprendere la situazione, il modo in cui regioni limitrofe si rapportano le une alle altre in termini di livello di reddito. Pare esservi un crescente scollegamento spaziale o territoriale con un andamento a lungo termine che si è rafforzato nell’ultimo periodo: alcune regioni crescono in maniera dinamica mentre altre rimangono indietro. Esistono isole di prosperità in un mare di stagnazione.

Affrontare le diseguaglianze se no la reazione populista sarà più forte
Questo ritorno alle diseguaglianze regionali dovrebbe preoccuparci? Dopo tutto, a noi dovrebbero importare gli individui e non le regioni in quanto tali. Tuttavia, il rapido declino di zone d’Europa un tempo prospere rischia di compromettere la pace sociale e la stabilità politica. In queste regioni non sono solo i poveri a rimetterci, ma anche i gruppi a medio reddito, che si trovano a scegliere tra emigrare – con il rischio di perdere la propria identità – e restare – con il rischio di subire un ulteriore declino.
Detto in altri termini, la scelta è tra ‘andarsene’ e ‘avere una voce’. In considerazione dei nuovi dati che abbiamo raccolto, vediamo come questo sia parte di un grande cambiamento sul lungo periodo, determinato probabilmente dalle stesse forze che hanno portato all’aumento della diseguaglianza tra i redditi personali. Dobbiamo affrontare sia le diseguaglianze individuali che quelle regionali, se non vogliamo correre il rischio di una reazione populista ancor più forte.

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