di Arianna Scarselli
Una premessa. Quello che segue è un ragionamento valido per molti dei casi che vediamo online ma ovviamente non è sempre applicabile. Ci sono persone che difendono sinceramente le azioni genocidiarie di Netanyahu, che sostengono Israele e credono che i palestinesi siano tutti terroristi. Concentriamoci però su tutte quelle persone che invece sono finite nel tritio dei social, una macchina utile quanto complessa che continua a fare tante vittime. La frattura fra mondo reale e digitale è visibile e profonda come non mai.
Interpretiamo i social come realtà parallele prive di conseguenze sul mondo reale, isole di decompressione dove possiamo permetterci di insultare, denigrare, sminuire le persone per ogni ragione, per ciò che fanno, dicono, pensano, sembrano, in modi che nella realtà fisica nemmeno ci sogneremmo. Dimentichiamo poi troppo spesso che quello che vediamo online è solo un lato della realtà, un’inquadratura non causale sulla vita altrui che chi pubblica sta scegliendo di mostrarci.
La psicoterapeuta Marta Frigerio ha elaborato l’analisi da una selezione di commenti presi dai social, un campione che rappresenta una fetta enorme di ciò che tristemente troviamo in rete e che riportiamo:
- commento 1: Ma solo a me frega un cazz di tutte queste guerre sparse mondo…? L’indifferenza psicologica, un meccanismo di difesa che si attiva quando il nostro cervello va in sovraccarico di notizie dolorose, quando la sensazione di impotenza è troppa, e inconsciamente cerchiamo di aggrapparci a qualsiasi cosa pur di non crollare, anche a straniarci completamente dal resto del mondo.
- commento 2: Se chiedi a sti scioperanti chi è o cos’è hamas non lo sanno…son solo sfigati rossi…. La svalutazione e delegittimazione del consenso, un attacco volto a screditare chi manifesta senza approfondire e motivare la critica. Studi affermano che il nostro cervello tende a polarizzare la visione che abbiamo della società e a sviluppare la nostra identità sociale in quanto parte di un gruppo, rafforzando stereotipi e pregiudizi verso chi non vi appartiene. Finiamo quindi per autodefinirci attaccando e creando una distanza con ciò che identifichiamo come diverso. Già solo questo implica una riduzione dell’empatia.
- commento 3: Se vi facevate i cazzi vostri e ve ne stavate a casa non vi succedeva niente. Vi sta bene il mondo lo salvate poi la prossima volta. Il victim blaming; nel processo di semplificazione selvaggia di ciò che vediamo, si è sviluppata la tendenza a non approfondire le cause di un determinato problema e attribuire la colpa a chi subisce la violenza o protesta contro di essa. Anche questo è un modo per scaricare l’ansia: se la colpa è di chi manifesta nelle strade e nelle piazze, io che non sono lì sono innocente e protetto. Questo approccio si lega all’idea (falsa) del just world belief e cioè che il mondo sia prevedibile; quando succede qualcosa che rompe questa ideale strada già tracciata, cerchiamo un colpevole che non ci faccia sentire inermi di fronte al mondo.
- commento 4: Tutte le occasioni sono buone x non andare a scuola!!! questi vogliono cambiare il mondo ma della vita sanno ancora poco. Parassiti mantenuti da nonni e genitori!!! La svalutazione generazionale, la delegittimazione delle nuove generazioni il cui impegno sociale e politico viene letto come un capriccio o addirittura pigrizia o mancanza di voglia di impegnarsi per la scuola o l’università. Io anziano ho vissuto e pertanto so, tu puoi solo ascoltarmi e approvare, tu giovane non puoi sapere di cosa parli. Sono stereotipi sociali che servono appunto a semplificare giudizi complessi in categorizzazioni basilari.
- commento 5: idioti sinistroidi che manifestano il nulla certo l’importante è scioperare e danneggiare tt noi..Poi x finire ci mettiamo che la colpa è della meloni e dei fascisti. La semplificazione di una rivendicazione sociale a cliché ideologico (sinistra inutile che si batte per le cause sbagliate). È un modo per non pensare, non confrontarsi con ciò che la rivendicazione porta avanti.
Questa è solo una selezione dei commenti analizzati da Marta Frigerio ma già solo da questi pochi emerge un pattern preciso: il cervello umano ha bisogno di creare opposizioni e contrasti polarizzati per sfuggire alla complessità della realtà e spesso l’ansia e la paura provata, a volte anche inconsciamente, porta al prendere le distanze da ciò che accade, smettendo di provare empatia e non pensando in maniera critica.