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"Nazione"

C'è relazione fra la forma linguistica e la funzione sociale della comunicazione politica

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2 Novembre 2022 - 10.46


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di Marcello Cecconi

Parole, parole, parole… ripeteva la canzone sigla cantata da Mina in feat con Alberto Lupo rendendo lieve il nostro, ahimè, sabato sera televisivo di cinquant’anni fa. E invece no, la parola non è lieve e se Meloni preferisce “nazione” un motivo c’è perché, come ci insegnano i semiotici, “la parola è l’atto concreto e individuale che ciascun membro della comunità linguistica fa per farsi comprendere”.

Dunque la parola è importante e lo è ancor di più nella sfera pubblica di oggi dove sono coinvolti politica, media e cittadini.  Così sceglie di comunicare la prima donna Presidente del Consiglio dei Ministri che ha voluto distinguersi proprio per l’uso ripetuto di “nazione”, non usando mai la parola “paese”.

E vediamo le definizioni. Il dizionario definisce il termine “nazione” come il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica. La stessa enciclopedia attribuisce a “paese” la definizione di un territorio, per lo più coltivato e abitato, individuato in base a particolari caratteri fisici, meteorologici. Insomma il primo termine è astratto, vago, legato alla modernità del linguaggio politico e per questo molto evocativo, il secondo è molto più intimo ma concreto e legato ad uno spazio territoriale preciso ma aperto agli altri e per questo meno adatto al tipo di messaggio della comunicazione di Meloni.

Dal punto di vista formale non ha tutti i torti, giacché nella Costituzione si usa sempre e solo la parola “nazione”. Ma le parole che usiamo raccontano anche chi siamo stati, chi siamo e chi saremo e l’uso di “nazione” si attanaglia perfettamente alla storia identitaria di Meloni che predilige richiamarsi alla comunità linguistica, culturale e religiosa (…sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana) perfezionando il suo status di pura patriota appellandosi alla storia risorgimentale. Lo fa quasi come se la nostra storia fosse passata dal Risorgimento agli anni Cinquanta del Novecento tutto d’un botto con un sotterraneo inconscio (?) cancel culture, tanto che fra le numerosissime grandi italiane richiamate nel discorso alla Camera, iniziando da Grazia Deledda fino a Samantha Cristoforetti, trascura una come Liliana Segre. Dimenticanza?

Forse il riferimento continuo allo spirito risorgimentale è un pallino della destra perché, oltre a Meloni stessa, anche l’ex sanbabilino e sanguigno Presidente del Senato, Ignazio La Russa, si è interessato a manifestare interesse per rendere festività nazionale il giorno della costituzione del Regno d’Italia (non era più appropriato dire il giorno dell’Unità d’Italia?). Io credo che questo modo sia quello più rapido a disposizione di Giorgia Meloni per realizzare rapidamente il “cambiamento” promesso in campagna elettorale. Quel cambiamento necessario e del tutto legittimo per una destra che usa “nazione” per differenziarsi dalla sinistra appropriatasi del termine “paese” per trasmettere inclusività di altre culture, altri “colori”, altre religioni, altre lingue. “Paese” ha il sapore di immigrazione, di ius soli e quindi non va per chi vuole “conservare”.

Una scelta comunicativa per dimostrare capacità di andare incontro agli elettori che hanno premiato Meloni anche per superare il clima culturale progressista e sterzare a destra sul sentiero, ancora tutto da ri-costruire, della “nuova conservazione”. Queste formulazioni permettono di non inficiare, nel breve, nemmeno i rapporti con l’Europa. Non è un caso che sarà il leghista “draghiano” del veneto, Giorgetti, con buona pace di Salvini, ad accollarsi la responsabilità di giustificare l’impossibilità di imboccare la strada sovranista dell’autarchia che l’economia della globalizzazione non permette alla debole “nazione” Italia.

E allora il messaggio dell’autarchia amata storicamente dalle destre, nuove o vecchie, resterà solo nella pomposa titolazione di alcuni dicasteri? Sarà il tempo a dirlo.

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