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"Femminismo"

Quando la parola si usa in maniera imprecisa

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2 Novembre 2022 - 10.58


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Di Margherita Malaspina.

La parola che ho deciso di analizzare è ‘femminismo’. Il movimento nasce in Francia, infatti, la parola femminismo deriva dal francese féminisme. Il solito dizionario al quale ricorriamo, Treccani, ci dice che è «Movimento di rivendicazione dei diritti delle donne, le cui prime manifestazioni sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la completa emancipazione della donna sul piano economico, giuridico e politico, auspica un mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne.»

I moti di emancipazione partono, come si sa, negli Usa con il Partito delle suffragette che reclamavano il diritto al voto della donna. Cosa diversa è il femminismo che attraversa diverse ondate, la prima è legata all’ambito della politica, seguita dalla seconda che si propaga a partire dagli anni Sessanta e che inizia a raggiungere anche l’Italia. In questi anni s’inizia a reclamare a gran voce l’importanza di affrontare temi prima definiti scandalosi: la sessualità, la violenza domestica e i diritti riproduttivi. Dagli anni Settanta le piazze italiane iniziano a riempirsi di donne che rivendicano il diritto di divorziare e di abortire. La terza ondata appartiene agli anni Novanta, periodo in cui le donne continuano la lotta per abbattere le discriminazioni che appartengono ancora al mondo del lavoro, nonostante gli sforzi precedenti.

Negli ultimi mesi l’uso di questa parola ha fatto molto discutere, soprattutto da quando Eugenia Roccella, di Fratelli d’Italia e eletta Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, l’aveva usata l’estate prima della elezione in maniera imprecisa. Infatti, durante una trasmissione televisiva, rispondendo alla domanda della conduttrice che le chiedeva se ritenesse l’aborto un diritto, ha risposto utilizzando questa frase: «Io sono una femminista e le femministe non lo hanno mai considerato un diritto».

A difesa della sua tesi, la neo ministra, ha in quella circostanza citato Ida Dominijanni, nota femminista, dichiarando che anch’essa la pensava come lei, ma fu presto smentita dalla chiamata in causa che dichiarava: “Quando in questo Paese si poteva ancora discutere, dire che l’aborto non è un diritto significava dire che è più di un diritto, è una libertà insindacabile di ogni donna”.

In realtà, guardando semplicemente alla storia del femminismo, si scopre come la fase decisiva sia proprio quella dedicata alla conquista di un diritto importante come l’aborto. E la ministra stessa ne è consapevole visto che la madre, negli anni Settanta, faceva parte del Movimento di Liberazione della Donna impegnato nel depenalizzare l’aborto e la giovane Roccella, nel 1975, curò per lo stesso movimento un libro che rivendicava l’aborto libero. La sua posizione è cambiata negli anni da quando ha iniziato ad avvicinarsi alla fede cattolica fino ad arrivare nel 2007 ad essere la portavoce del Family Day, una manifestazione antiabortista. Ognuno ha il diritto di cambiare idea ma non quello di negare la storia.  

Ora, alla luce di questo nuovo clima sociale e politico, una domanda sorge spontanea: le femministe si sono battute inutilmente? Le donne italiane che sono scese per strada negli anni Settanta, erano ben consapevoli di cosa accadesse ad una donna che volesse abortire ma che non poteva farlo alla luce del sole ed era costretta a ricorrere a metodi poco ortodossi. Dopo anni di lotte, dopo diverse leggi, dopo interi libri scritti a riguardo, ancora non siamo in grado di capire che la donna con il proprio corpo può e deve fare quel che le pare più giusto senza che ci sia una legge che debba scegliere al suo posto? Nei prossimi mesi capiremo se ciò che viene detto è frutto di propaganda o se davvero questa conquista sarà rimessa in discussione. E se le donne lo permetteranno.

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