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Eurovision, solidarietà o ipocrisia?

Con la canzone “Stefania”, i Kalush Orchestra hanno vinto il concorso con 631 punti, quasi tutti arrivati dal televoto. Ma il confine tra sostegno popolare e ipocrisia è molto labile

Eurovision, solidarietà o ipocrisia?
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15 Maggio 2022 - 15.28


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di Lucia Mora

Potrei scrivere un resoconto meramente e strettamente musicale della finale dell’Eurovision Song Contest 2022, ma non lo farò. Da un lato, perché chiedermi di commentare una competizione livellata musicalmente verso il basso sarebbe crudele e io non sono affatto un’aperta sostenitrice della pratica del martirio. Dall’altro, perché è evidente che la politica abbia preso il sopravvento sulla musica, ieri sera; non riconoscerlo sarebbe un insulto tanto alla mia intelligenza quanto a quella di chi legge.

Il che è ironico, considerando che il regolamento della competizione recita quanto segue: «L’ESC è un evento apolitico. Tutte le emittenti partecipanti, inclusa l’emittente ospitante, avranno la responsabilità di garantire che tutte le misure necessarie siano intraprese all’interno delle rispettive delegazioni e squadre per salvaguardare gli interessi e l’integrità dell’ESC e per assicurarsi che l’ESC non venga in nessun caso politicizzato». Ma andiamo avanti.

Beninteso: la musica non esclude la politica e viceversa, anzi. Ho scritto un articolo non molto tempo fa (questo qui) sull’importanza della musica come strumento di protesta. Da Bella ciao ad Animals dei Pink Floyd, dalla Storia di un impiegato di Fabrizio De André ai Polli d’allevamento di Giorgio Gaber, gli esempi di connubi riuscitissimi tra note musicali e lotte politiche si sprecano. Non sono così sicura che tra questi si possa inserire anche il brano dell’Ucraina all’Eurovision, però.

Anzitutto perché è abbastanza inascoltabile. Ricorda tanto uno di quei piatti di cucina sperimentale, dove si mischia la panna con l’aceto perché osare è tutto nella vita; ecco, “Stefania” dei Kalush Orchestra è un’accozzaglia cacofonica di hip hop e di musica popolare ucraina (cui appartiene per esempio la telenka, uno strumento a fiato simile a un lungo flauto tipico della loro zona). In sostanza, è un po’ come se Fabri Fibra si dedicasse al remake di Quel mazzolin di fiori: sono sicura che la storia della musica abbia altre priorità. Osare è bello, ma bisogna saperlo fare. Dico bene, Achille Lauro?

Persino tralasciando la qualità del brano – che in un concorso musicale di calibro internazionale avrebbe anche la sua importanza, ma stiamo al gioco – è difficile non vedere nella vittoria ucraina, peraltro telefonata da tempo, un esempio di “solidarietà all’americana”. È difficile non vederci una sorta di “Truman Show”, dove la politica è spettacolo e i drammi sono materiale da dare in pasto allo show business. Si scambia il televoto (vero responsabile del trionfo dei Kalush Orchestra) per un simbolo di solidarietà e persino di resistenza, ben sapendo che alle vittime e ai rifugiati i coriandoli servono a poco.

Non è questione di moralismo. È comprensibile il punto di vista di chi ritiene umano e naturale votare per l’Ucraina, ma è altrettanto inconcepibile pensare che questo basti per manifestare il proprio dissenso. Un Paese che ospita l’Eurovision festeggiando la vittoria di un popolo sotto attacco e contemporaneamente invia armi per alimentare quella stessa guerra è talmente ipocrita che neanche i peggiori incubi orwelliani lo avrebbero previsto. Se il moto di sostegno popolare dimostrato attraverso gli SMS si estendesse a una protesta vera, reale e concreta contro l’industria bellica, come del resto vorrebbe la nostra Costituzione, allora potremmo parlare di resistenza. Finché invece l’empatia resterà confinata nei pollici di uno schermo televisivo, il televoto non sarà che una briciola. Commovente quanto si vuole, ma pur sempre una briciola.

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