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Sicurezza e molestie: cosa pensano le studentesse

Dopo il recente caso della giovane molestata in pieno centro a Siena, abbiamo intervistato sul fenomeno circa 40 ragazze, in prevalenza fuori sede. Si sentono al sicuro, ma si potrebbe fare di più.

Sicurezza e molestie: cosa pensano le studentesse
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6 Aprile 2022 - 09.07


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Giorni addietro Marialaura Baldino ha scritto sul nostro giornale un articolo nel quale si raccontava l’episodio della studentessa che aveva subito molestie all’ingresso di un locale pubblico di Siena e di come questo episodio fosse stato denunciato sui social.Oggi riprendiamo l’argomento parlando con circa 40 studentesse dell’Università di Siena. Nelle interviste si parla di come, anche in piccole realtà, gli episodi di molestia nei confronti delle donne sono sempre più frequenti ma allo stesso tempo sempre più occultati.

di Margherita Malaspina e Claudia Daniele

Pensiamo davvero di essere così sicure da non doverci preoccupare di essere oggetto di attenzioni non desiderate? Ce lo siamo domandato dopo essere venute a conoscenza delle vicende che hanno riguardato prima studentesse dell’Erasmus e poi quella accaduta, più recentemente, alla ragazza molestata. Abbiamo tentato di capire se questi fossero episodi isolati o se, purtroppo, queste partiche fossero diffuse anche in un piccolo centro come Siena.

Abbiamo condotto, per questo, una piccola indagine intervistando circa 40 ragazze dell’Università di Siena, ricavando interessanti considerazioni.

La quasi totalità delle studentesse intervistate sono fuorisede. La prima domanda ha riguardato il loro senso di sicurezza quando escono da sole la sera e, conseguentemente, se ritengano Siena una città sicura. La maggior parte delle ragazze ha risposto di sì, ma avanzando delle riserve. Una delle ragazze intervistate, ad esempio, ci dice: “Per la mia esperienza mi sento sicura di uscire da sola solo in zone trafficate e nel centro, solitamente più affollato, altrimenti preferisco uscire in compagnia”. Un po’ quello che avviene in tutte le altre città. Invece una piccola minoranza delle ragazze si è pronunciata dicendosi sempre preoccupata nell’uscire da sole.

Proseguendo con le interviste abbiamo chiesto se fossero a conoscenza di altri casi di molestie avvenuti a Siena o se li avessero subiti in prima persona. In questo caso le risposte raccolte si dividono perfettamente a metà: il 50% delle studentesse afferma di non aver subito molestie né di essere venuta a conoscenza di questi fenomeni, mentre il restante 50% asserisce di conoscere qualche episodio sgradevole. Di queste ultime una ragazza riferisce: “Abito in residenza e spesso mi è capitato, dovendo ritornare in tarda notte, che qualcuno mi fischiasse o che tentasse un approccio indesiderato” e continua “inoltre conosco anche di ragazze che hanno subito molestie sia verbali che fisiche”. Ma perché tutto questo finisce per esser sottaciuto?

Un’altra domanda ha riguardato il loro grado di conoscenza delle forme attraverso le quali denunciare episodi del genere. Sono tutte concordi nel denunciare attraverso i canali istituzionali nel caso di atti di violenza subiti. Lo dicono con parole come: “il tutto si svolgerebbe sul piano legale e rimarrebbe riservato”. Tuttavia molte di loro, in caso di molestie fisiche o verbali, non escludono l’uso dei “social” che permettono di condividere la propria esperienza in tempi più brevi così da allertare un pubblico più vasto come quello che gli strumenti digitali offrono. 

Oltre ai canali istituzionali, dei quali normalmente si conosce il funzionamento e che sono stati indicati come punti di riferimento ai quali rivolgersi in casi di violenza e molestie, esistono anche molti altri centri di assistenza per la tutela delle donne. “Sono a conoscenza solo di alcuni di questi centri antiviolenza, come il Telefono Rosa, ma non saprei precisamente come servirmi di essi” dicono molte delle studentesse intervistate. Una minoranza è completamente estranea e disinformata sull’esistenza di questi centri.  Tenendo in considerazione queste dichiarazioni, e comparandoli a quelli prodotti, nel 2019, da un’indagine dell’Istat nella quale si afferma che sono 302 i centri antiviolenza attivi in Italia, si evince che ci sia una disinformazione capillare sulla presenza di associazioni come il Telefono Rosa e la Onlus Da Donna a Donna. Associazioni che nascono come organi di volontariato tesi a fornire accoglienza e supporto psicologico alle vittime di violenza.  

L’indagine si è infine conclusa esaminando come il fenomeno viene affrontato dalle strutture universitarie. Abbiamo chiesto se si sentissero tutelate dall’Università e dagli sportelli antiviolenza o di quelli sulla parità dei generi dei quali dispone l’istituzione. Molte ragazze si sono espresse con frasi del tipo “Non mi sento tutelata dall’Università” oppure “Non sono a conoscenza della presenza di questi sportelli universitari, quindi non mi sento di poter dire di essere protetta dall’Università in questo senso”.  È evidente che solo alcune delle persone che conoscono gli organi, messi a disposizione dall’ateneo a questo riguardo, sostengono di sentirsi protette, mentre la maggior parte delle studentesse ritiene di non ricevere adeguata assistenza da essi, soprattutto per la scarsa conoscenza che si ha di queste strutture.

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