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Il calcio è malato ma resta una religione

Cambiano media, sponsor, contesti e di conseguenza i riti dei “fedeli” tentano di adeguarsi alle innovazioni tecnologiche senza però risolvere motivazioni di grave malessere sociale e marginalizzazione

Il calcio è malato ma resta una religione
Photo: AETOSWire
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18 Gennaio 2023 - 15.35


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di Marcello Cecconi

Oggi Milan e Inter si contenderanno la Supercoppa italiana, ma non sarà il logico e conseguenziale San Siro a riempirsi di tifosi e colorarsi di nero, rosso e azzurro. Ancora una volta si gioca a Riyad, dove più che la fede degli appassionati italiani si cerca un’iniezione di introiti per le due società. L’edizione dello scorso anno fra Lazio e Juventus, svoltasi a San Siro (la pandemia non permetteva espatrio) fruttò ai due club 1milione e mezzo di euro ciascuno più meta dell’incasso, mentre quella di oggi frutterà 7 milioni e mezzo di euro più 50% dell’incasso. Facile capire, dunque perché, “è qui la festa”.

Si torna, dunque, per un accordo che quest’anno va in scadenza, nella capitale della monarchica Arabia Saudita, paese di proprietà dalla famiglia Al Saud da oltre novant’anni, dove da poco ha trovato la sua “casa di riposo” dorata un simbolo del pallone, Cristiano Ronaldo. I sauditi, con il suo arrivo e questa EA Sports Supercup (così si chiama l’italianissima Supercoppa), hanno dunque l’occasione per rispondere ai vicini qatarini, amici ma non troppo, che sono stati al centro del mondo per un mese con i Mondiali dell’Argentina di Messi, quell’Argentina che proprio l’Arabia Saudita aveva sconfitto all’esordio.

E poco preoccupa se il successo dei colori sfavillanti del mondiale di calcio sia stato deturpato da qualche getto di vernice grigia da parte di “incontentabili” chiaccheroni dei diritti dei lavoratori. Tanto i colori sgargianti restano mentre quella vernice grigia, in poco tempo, scivola via senza lasciare impronte. Lo sa bene, qui in Arabia Saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman, che sbandiera riforme anche dal punto di vista dei diritti, compreso quello di genere. Non basta la patente alle donne e toglier loro l’obbligo del velo quando resta basilare la sharia.  Facile rendersi conto come il connubio monarchia/sunnismo regga la società saudita e, come perciò, appaia complicato il processo di equilibrata distribuzione di ricchezza e di diritti che MbS pubblicizza. Intanto, per non giocarsi il futuro, la Sela Sport, una società di marketing sportivo saudita, ha presentato appena qualche mese fa un’offerta alla Lega Serie A per continuare ad ospitare la Supercoppa italiana fino alla stagione 2028-2029, ma con un nuovo format allargato. Auguri!

Nonostante i continui passaggi fra gli sfarzi da “mille e una notte” il calcio è malato ma la fede in lui, nel dio pallone, tiene. Durckeim, il sociologo francese, sosteneva che “La religione non è un sistema di idee; è piuttosto un sistema di forze che mobilizzano le persone fino a condurle alla più alta esaltazione”. Definizione che calza a pennello per il calcio! Il “calcio come una religione” non è quindi né metafora né iperbole perché, per milioni di persone, stimola spostamenti nel mondo intero basati proprio su fede e rituali, rubacchiando il posto tradizionalmente occupato dalla religione. La più grande delle narrazioni della storia si vede superata dalla più grande delle narrazioni moderne, quella del calcio, che pur fra mille contraddizioni continua a tenere.

La religione-calcio che anche indegnamente, ha elevato a “santi” protettori Garrincha, Di Stefano, Puskás e i più recenti santificati Maradona, Pelè e Vialli, ha come “pontefice” Infantino I°. Costui è il presidente della FIFA, che nel mondo del capitalismo digitale senza confini geografici, politici e sociali, nonché nell’epoca della comunicazione dell’usa e getta, del carpe-diem, ha un compito da far tremare i polsi. Tenere in equilibrio fede, riti e bilanci. Ma il dio pallone trema anche se stuoli di fedeli continuano a mettersi il prosciutto sugli occhi per mantener viva la fede e non svegliarsi dall’unico sogno di condivisione sociale. Uno dei pochi motivi di esaltazione in un mondo piegato da corruzioni, crisi energetiche e climatiche, pandemie, femminicidi, guerre lontane e vicine compresa quella forbice sempre più ampia fra ricchi e poveri che stranamente mette in ansia proprio i primi.   

Lui, il p(r)elato italo-svizzero al comando della FIFA è attorniato da una selva di potenti “cardinali”. Fra questi, il lubianese di cittadinanza inglese, Aleksander Čeferin, apostolo per l’Europa allargata anche alla Russia. È il capo dell’UEFA che ad aprile del 2021 si scandalizzò, insieme a Infantino, per quella improvvisa minaccia di scissione della Superlega che una dozzina di squadre europee voleva promuovere fuori del circuito regolare della “chiesa madre”.  Vade retro satana! -fiammeggiò Infantino I°- e i cospiratori dello scisma cominciarono a dileguarsi lasciando il cerino acceso in mano a pochi. “Vogliamo salvare il calcio, la Champions ha perso appeal. Il calcio deve evolversi e questo format ci darà la possibilità di ottenere molti più soldi” diceva e dice ancora Florentino Perez, presidente del Real Madrid, il più tenace padre del tentato scisma insieme ad Andrea Agnelli della inquisita Juventus.

Soldi, soldi, soldi. Ce ne vogliono molti se si vuole resistere, almeno in parte, alle tentazioni dei petrolieri del golfo o dei capitalisti di stato con gli occhi a mandorla. E lo sapevano bene a Torino, con la Juventus ormai alla canna del gas finanziaria, quando Agnelli quasi due anni fa decise di giocarsi il tutto per tutto facendo il navigatore sul carro dello scisma guidato dallo spagnolo e benedetto dalle promesse di soldi, soldi, soldi della JP Morgan. Ma il golpe non andò in porto al grido “il calcio è salvo, morte alla Superlega” delle Loro Eccellenze UEFA e FIFA. Infantino I° e Čeferin, insieme ai propri fedeli festeggiarono questa vittoria in nome del “calcio che appartiene ai tifosi”.

Di certo “l’inquisizione” iniziava la sua vendetta nella parrocchia di Torino degli Agnelli con le conseguenze, poco sorprendenti, di quasi due mesi fa. Le dimissioni di tutto il board juventino pretese, con molta probabilità, perché il gran rumore giustifichi il niente o poco delle conseguenze future per plusvalenze e stipendi figurati, anche se la società è quotata in borsa. C’è solo tanta ipocrisia nella FIFA e nell’UEFA perché la Superlega non sarebbe stata assolutamente la malattia del calcio, ma una conseguenza logica del calcio già malato di businessmania voluta proprio da FIFA e UEFA e dalla nostrana Lega.

Come dicevo in apertura, stasera a Riyad, l’italianissima Supercoppa si chiamerà EA Sports Supercup in onore a Electronic Arts, il main sponsor californiano scovato dalla Lega che sviluppa giochi, contenuti e servizi online per console e dispositivi mobili. E a proposito di giochi e di virtuale la manifestazione sarà anche occasione particolare per i possessori di Fan Token di Milan e Inter, un nuovo sistema di interazione fra tifosi e società che supera il vecchio rapporto rituale degli ultras facendo “sentire” i tifosi influenti. Con l’uso dell’app dedicata e i token (moneta virtuale) incidono con i loro voti e sondaggi in alcune decisioni societarie di secondo piano. Stasera, dunque, i palloni dei goals saranno immediatamente consegnati a un addetto della Lega con l’annotazione del minuto del gol e il marcatore, rinchiusi in apposito contenitore sotto gli occhi delle telecamere e, successivamente, integrati di un chip grazie al quale i possessori di Fan Token potranno autenticarsi per vincere questo cimelio e poter rivedere quel gol dove e quando vogliono tramite il loro smartphone.

E anche se ogni tanto si ritorna al passato sfogando repressioni nelle aree di sosta delle autostrade, come in tutte le religioni i riti e i simboli si adeguano e la “messa” per i fedeli è quasi sempre da guardare in tv…e spesso a pagamento.

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