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L’Italia colonialista, la pittrice nera, le migrazioni: Igiaba Scego rivisita la storia

Nel romanzo “La linea del colore” la scrittrice crea una figura ispirata a un’abolizionista americana e a una scultrice omosessuale e in un’intervista osserva: “Un odio crescente nel Paese”

L’Italia colonialista, la pittrice nera, le migrazioni: Igiaba Scego rivisita la storia
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15 Febbraio 2020 - 16.57


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È da pochi giorni nelle librerie un romanzo ambientato a fine ‘800 e nei nostri giorni che intreccia questioni cruciali del nostro tempo con lo sguardo di chi conosce più realtà, non solo di pelle bianca, dall’interno: Igiaba Scego. La scrittrice ha infatti appena licenziato La linea del colore (Bompiani, pp. 356, € 18,00), storia intorno alla pittrice americana Lafanu Brown, che immagina residente a Roma e dalla pelle nera nel secondo ‘800, cui affianca tra altri due personaggi: Leila vive nella Roma di oggi e scopre la vicenda della pittrice, sua cuginetta somala Binti che emigra a proprio rischio e pericolo dalla Somalia alla penisola. Arricchiscono infine il racconto fotografie di Rino Bianchi, una bibliografia e le spiegazioni di Igiaba Scego sul perché ha narrato questa storia.

La scrittrice reinventa la vita di due donne esistite, di discendenza africana e che tra l’altro si conoscevano: l’ostetrica Sarah Parker Remond era una attivista e in lotta per l’abolizione dello schiavismo negli Stati Uniti che, passando per l’Inghilterra, arrivò a Firenze e in Italia; la scultrice Edmonia Lewis, omosessuale, diventata cattolica, andò nella città del Colosseo e del Bernini perché amava l’arte e Roma era la città dove conoscere il passato e affinarsi. Lafanu Brown è nata in una tribù indiana, il padre era un nero poi sparito, la madre la porta in città, là incontra chi la protegge e la sostiene, una donna, finché non se ne parte su un piroscafo per l’Italia.

Così la scrittrice nata a Roma nel 1974 descrive, nell’estratto pubblicato online dall’editore, quel viaggio sull’Atlantico, in un’epoca in cui le navi compivano il viaggio in direzione inversa, verso le Americhe, strapiene di emigranti europei: «“Il mare oceano è gelido d’inverno, si copra bene durante la traversata, signorina.” Lei forse disse grazie o, più probabilmente, non disse niente. Non lo guardò nemmeno. Occhi fissi al molo che lentamente, inesorabilmente si separava da quella nave grassa di passeggeri. Acqua tutto intorno. La stessa acqua che aveva visto in ceppi i suoi antenati. E ora lei andava nella direzione opposta a quella degli schiavi. Andava a cercare una specie di libertà. Sentivo che quella donna mi stava chiedendo aiuto. Ma io non sapevo come liberarla. Povera donna senza nome. Povera me che non riuscivo a darle un nome. Due sorelle nere, estranee l’una all’altra, divise dai secoli, ma così vicine nella sofferenza. Perché essere neri significava ancora una volta aver a che fare con le catene che laceravano la nostra carne” ».

L’Italia, ha raccontato la narratrice a Matilde Quari in una ricca intervista sul sito dei librai italiani illibraio.it, è un paese che “si sta chiudendo in se stesso, e c’è un odio crescente. Quindi ho trovato splendido poter parlare di due donne che, superando le barriere del colore della pelle e del genere, riescono a fare un viaggio a quei tempi incredibile e a coronare il loro sogno nel nostro Paese”. Igiaba Scego chiarisce bene che non voleva scrivere una o due biografie quanto inventare un nuovo personaggio, Lafanu Brown appunto, oltre ad altri personaggi in una narrazione dove affrontare più conflitti in corso allora come, in altro modo, nell’Italia e nel mondo di oggi: il conflitto del colore della pelle e “il conflitto di classe”. Per esempio perché la pittrice ambisce a una sua indipendenza economica ma invece è sostenuta “dalle abolizioniste bianche che la aiutano”, dice la scrittrice.

Igiaba Scego vuole rifuggire da facili schematismi. Da un lato narra di un’Italia guastata dalle mire e operazioni colonialiste: il 26 gennaio 1887 a Dogali, in Eritrea, “quasi cinquecento soldati italiani vengono uccisi durante uno scontro con le truppe etiopi. Quando la notizia giunge a Roma, un’onda di sdegno invade la città” ricorda l’editore. Dopo quella sconfitta Lafanu Brown viene chiamata dai romani “la negra”, diventa capro espiatorio, ma un uomo, l’anarchico Ulisse Barbieri (nome di un poeta davvero esistito), la soccorre e apostrofa i suoi concittadini: “Ma non capite, branco di cretini, che i veri patrioti sono gli abissini?”.

“Si pensa sempre che il colonialismo sia fascista, ma per me è molto importante far capire che il colonialismo italiano non è stato solo Mussolini. Anzi, Mussolini era in piena continuità con l’Ottocento”, ha detto la scrittrice sempre al sito dei librai.

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