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“Quasi per caso” De Cataldo indaga nell’Italia da melodramma

Nel nuovo romanzo il maggiore Mercalli in azione tra misteri e la politica del tempo con Mazzini, Cavour e un omaggio a Sherlock Holmes

“Quasi per caso” De Cataldo indaga nell’Italia da melodramma
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21 Novembre 2019 - 23.25


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di Enzo Verrengia

«Non sbaglia chi sostiene che la vera essenza dell’Italia è il melodramma» afferma un personaggio di Quasi per caso, il nuovo romanzo di Giancarlo De Cataldo. Si è a Torino, all’indomani della sconfitta subita dai piemontesi per opera di Radetzky, con l’effetto di far abdicare Carlo Alberto e insediare sul trono il giovanissimo Vittorio Emanuele II. E il melodramma scorre già in pieno corso.
Riecco il maggiore dei Regi Carabinieri Emiliano Mercalli di Saint Just, investigatore creato da De Cataldo per il precedente Nell’ombra e nella luce, dove affrontava il maniaco pluriomicida detto il Diaul, il Diavolo. Ora, reduce dal fronte, vuole convolare a giuste nozze con Naide Malarò, ex attrice passata agli studi di medicina. Ma lei ha abbandonato Torino per Roma, abbracciando la causa di Mazzini, che ha messo in fuga papa Pio IX e instaurato la repubblica, minacciata dai francesi, prossimi a soccorrere il Pontefice, rifugiatosi a Gaeta.
Emiliano intende riaverla e questo fa gioco a Cavour e a Re Vittorio in persona. I due ordinano a Emiliano di andare a Roma e riportare a Torino Aymone Fleury, amico fraterno del sovrano, che deve impalmare una facoltosa signora della nobiltà sabauda. Sennonché, giunto nella Città Eterna, l’ufficiale piemontese trova il suddetto accusato di un assassinio. Si ritiene Fleury colpevole di avere ucciso il principe Ottaviani-Augusti vecchio, malato e impotente, per sottrargli la consorte, Matilde, giovane, bella e ricca, figlia di un oste che l’ha data in sposa all’aristocratico con il fine di comprarle il titolo nobiliare. Allora il melodramma volge al mystery. Accentuato dall’ambientazione, come succedeva per Nell’ombra e nella luce. In più, a scioglimento avvenuto, si capisce quanto sia calzante quel titolo, Quasi per caso, dal sapore di Francis Durbridge, celebre per le trasposizioni televisive dei suoi polizieschi di alta precisione prodotti dalla Rai negli anni ’60 e ’70.
Sì, perché Mercalli, e con lui i lettori, vengono posti dinanzi a una galleria di sospettati, i cui possibili moventi smentiscono la colpevolezza di Fleury.
Le indagini romane di Mercalli non sarebbero possibili senza un documento che gli dà pieni poteri, firmato da Mazzini, che appare di persona. Nessuna meraviglia che il triumviro repubblicano collabori di buon grado con un emissario dei Savoia. L’unità d’Italia vale ogni alleanza. Insieme a Mazzini, sfilano i protagonisti dello squarcio più nevralgico del Risorgimento. Il tutto con il ritmo, le atmosfere e la carica trascinante del giallo d’epoca: Quasi per caso, evoca non solo Durbridge, ma il Conan Doyle di Sherlock Holmes. Quest’ultimo adombrato in Gualtiero di Lancefroid, amico di Mercalli e portatore di una sapienza scientifica utile per la medicina forense, oltre che dedito all’hashish quanto il Gran Detective di Baker Street lo era alla famosa soluzione sette per cento. Il suo arrivo a Roma è determinante per chiudere il caso. Ed è lui che all’inizio ha parlato di melodramma.
Allora il melodramma con delitto e contorno di storia patria, per De Cataldo diviene la cifra della sua ennesima eccellente prova d’autore. Fatta di una scioltezza lessicale che frappone con grande abilità il romanesco al linguaggio dell’Ottocento. Ma soprattutto di un repertorio certosino di riferimenti, di suggestione e di un meccanismo narrativo ad orologeria, pressoché introvabili altrove nella disastratissima, di più, agonizzante, produzione letteraria autoctona di questi tempi.

Giancarlo De Cataldo, Quasi per caso (Mondadori, pag. 256, Euro 16,00)

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