«La mia impressione è che, come già accade negli Stati Uniti, xenofobia e razzismo si manifestino di preferenza proprio nei territori in cui gli stranieri sono meno presenti, o addirittura del tutto assenti. Ed è su questo aspetto irrazionale che fa leva la parte più astuta e crudele della politica, così da generare un clima di sospetto destinato a sfociare nell’odio». A dirlo in una lunga intervista al quotidiano l’Avvenire è Colson Whitehead, romanziere afroamericano che al Festival Letteratura di Mantova presenta il suo nuovo romanzo, I ragazzi della Nickel (Mondadori, pp. 216, euro 18,50, traduzione di Silvia Pareschi). L’appuntamento è domani 6 settembre alle 21, alla Basilica Palatina di Santa Barbara, ed è intitolato “Reinventare l’America” e partecipa Stas’ Gawroski.
«Non conosco in maniera approfondita la situazione europea, ma sono consapevole del dibattito sulla sicurezza che si sta sviluppando in seguito dell’arrivo di migranti e rifugiati dall’Africa, dalla Siria e da altre regioni di crisi», premette a quanto sopra riportato l’autore.
I ragazzi della Nickel segue La ferrovia sotterranea, già premio Pulitzer nel 2017. Il romanzo è ambientato negli anni ’60, in una casa-riformatorio in Florida che, dietro le apparenze di istituto inappuntabile, è un autentico inferno per chi ci finisce, anche per motivi banali: abusi, maltrattamenti, torture in una storia ispirata alla scuola – riformatorio Dozier, in Florida: chiusa nel 2011, dallo Stato della Florida stesso, accanto all’istituto è stato scoperto un cimitero segreto con i resti di quei ragazzi che non resistevano alle angherie, alle sofferenze e alle privazioni. E da quella scoperta compiuta da archeologi ha preso spunto Whitehead dallo stile «classico, sobrio e avvincente come in certi capolavori di Stephen King», ha commentato entusiasta Emanuele Trevi su La Lettura mentre la Mondadori nella sua scheda parla di «realismo magico» e cita Gabriel Garcia Marquez.
Protagonisti del romanzo, in un clima di segregazione razziale, sono due ragazzi molto svegli, ognuno a modo suo, prigionieri alla Nickel, Elwood e Turner. Il primo ammira Martin Luther King, vorrebbe studiare e appena scoverà dei romanzi in edizioni economiche li leggerà avidamente; Turner è molto più disincantato. Sono amici e dimostrano doti sorprendenti per sopravvivere, perché in quella detenzione la scommessa è sopravvivere, come hanno dimostrato i poveri resti di ragazzi scoperti accanto alla in apparenza irreprensibile Dozier School.
D’altro canto il clima per i neri era da prigione permanente ovunque fossero: grazie alle “Jim Crow Laws” «un nero poteva finire in carcere anche solo per “contatto arrogante”, ossia perché per strada aveva incrociato un bianco che si era sentito minacciato dalla sua presenza». Ma quella repressione, ricorda Whitehead ad Alessandro Zaccari sul quotidiano cattolico, «sopravvive ancora oggi, a dispetto dei progressi compiuti in campo legislativo. Penso agli arresti arbitrari da parte della polizia, ma anche alle storture del sistema educativo». Servirebbe forse un nuovo Martin Luther King, o comunque servirebbero «figure carismatiche» paragonabili al reverendo nero, si rammarica Whitehead, o simili alla scrittrice da poco scomparsa Toni Morrison, che lo scrittore inserisce tra i suoi riferimenti fondamentali.