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La Roma di "Raggi laser", inferno quotidiano visto dai bus

Poesia e rabbia in "Malatempora" il nuovo libro di Daniela Amenta

La Roma di "Raggi laser", inferno quotidiano visto dai bus
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13 Marzo 2018 - 00.12


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di Delia Vaccarello

“Ho preso a dire “buonasera” quando scendo. A volte qualcuno risponde, più spesso silenzio”: poesia della familiarità tra cosiddetti estranei che condividono la tragicomica avventura dello spostarsi sui bus a Roma. Daniela Amenta torna a donarci un  affresco della capitale. Se la precedente prova – Ladra di piante – l’ha vista narrare una Roma degli esclusi che impongono anche a colpi di lessico la loro resistenza, adesso Amenta mette il dito sulla piaga.  Racconta la transitorietà che diventa stagnazione, il movimento trasformato in staticità. Sul bus dovresti starci poco, il tempo strettamente necessario, ma in “Malatempora – Roma ai tempi di Virginia Raggi”  (edito da All Around, presentazione a Roma, da Moby Dick, in via Edgardo Ferrati 3, giovedì 15 marzo ore 18),  sui bus ci passi un secolo. E quando scendi saluti. Per forza: i viaggiatori sono diventati  presenze come tua madre, tuo fratello.  Amenta racconta Roma. Giorno dopo giorno. Colleziona post su post pubblicati sui social, corredati da foto. E ci fa ri-vivere (e patire ma stavolta con l’aiuto della sua ironia) l’amministrazione della Sindaca, le sue improvvisazioni. Una per tutte: le improbabili strisce pedonali tracciate sopra le strisce blu, che inaugurano una compresenza tra area pedoni e area parcheggio. Su quel pezzo di asfalto che permette la coabitazione tra chi va a piedi e chi sistema l’auto si tiene a battesimo la indecisione grillina, la sparata del noi siamo meglio, “l’apoteosi” del noi possiamo tutto. E a corredo della foto l’autrice commenta: “Quanta immensa creatività nel tratteggiare le linee blu dei parcheggi nella Caput delle cittadine e dei cittadini. Raggi laser a voi”. Amenta ha il gusto della indignazione e della presa per il culo, del lessico che mutua neologismi dal parlato e ne conia di nuovi. Ha la forza di rimandare a chi vessa e manca di onestà un “non ci sto” risoluto, commovente, cazzaro persino. Amenta protesta, si apparenta ai diseredati della Caput immundi, fulmina con i suoi post, e mentre scrive, però, si diverte. Ride sorniona. Abbraccia chi legge. 
La Roma dei bus è per forza anche la Roma dello scontro. Dopo una giornata feroce, esausta Amenta affronta cinque autisti Atac che fumano e ridono dinanzi al bus con scritto “deposito”. Lei chiede: “ma partite?”, si scatena la furia da ambo le parti. E’ sciopero. Amenta lo sa. Ma la tensione è comunque alle stelle. “Non è finita bene, io a piedi a fare le corna, popolo della fermata inferocito, gli Atac che ci hanno insultato. Mancavano le botte. Cose brutte. Per me questa cosa è una ferita”. Ferisce la guerra tra poveri “cornuti”.  L’estraneo non c’è, perché è potenzialmente intimo nella poetica amentiana. Tranne l’estraneo che non è più tale perché indossa una delle tante casacche “fasciste”  in aumento, anche se di rado dichiarate come tali. Come definire infatti le chiusure? “Chiudere, sgomberare, sequestrare, lucchettare. Rialto Sant’Ambrogio, dietro quel portone c’era pure il circolo Gianni Bosio. Chiuso dal Campidoglio. In questa città si aprono solo cassette di sicurezza. Il resto si chiude”. 
 Amenta ha una posizione netta, sente la sorellanza con i dimenticati che oggi sono anche i rom presi per ladri persino quando lei, in fila alla cassa di un supermercato, regala al figlioletto di una coppia l’ovetto kinder. Chi sono i dimenticati?  “Il fruttarolo, l’egiziano, il pakistano, il fioraio, tutti stranieri”,  avvertiti come fratelli nelle notti che l’autrice passa sveglia per via di una neuropatia. A “meritare” indifferenza sono i vecchi. “Il vecchio all’angolo piange, e piange perchè ha fame”. Vien fuori la rabbia, a fiotti. “Vi maledico, maledetti che rubate la dignità ai vecchi”. I fratelli e le sorelle, i cittadini e le cittadine della capitale ai tempi di “Raggi laser” parlano romanesco rimasticato, dialetto adattato al lessico trendy , linguaggio  della “monnezza city” (“trovare un cassonetto disponibile è un’impresa”).  E già, la Roma dei bus è così simile alla Roma dei rifiuti  o a quella delle buche- voragini che ingoiano tutto. Amenta ama Roma, la odia, la canta, Amenta appartiene al mondo vivo, quel  mondo che oggi ha radici aeree, migra, arriva sui barconi e non è tanto diverso dalla “gggente” che “abita” negli autobus.  Sulla metro riflette: “hai addosso tutto questo, tutti i giorni. Di questa massa compatta e stranita colleziono discorsi frammenti, pezzi, odori, sguardi……”. Colleziona la risposta dell’adolescente all’emoticon-cuore appena arrivato via whatsapp: “Buongiorno mamma”. La fa sua, ci saluta, ci dà la sveglia: buongiorno Caput. 
 
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