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"Il talento esuberante di mio marito Giorgio Faletti"

Roberta Bellesini porta in giro per l'Italia l'eredità culturale di un uomo tanto poliedrico quanto complesso. Così L'ultimo giorno di sole non è solo un libro ma anche una pièce tratrale

"Il talento esuberante di mio marito Giorgio Faletti"
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13 Ottobre 2017 - 13.20


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di Rock Reynolds

A raccontarci l’autentico Giorgio Faletti  c’è ancora chi lo ha conosciuto meglio di ogni altro, sua moglie, Roberta Bellesini, architetto e spalla ideale nella vita dell’uomo, prima che dell’attore, scrittore, eccetera. Roberta, che oggi dirige il “Passepartout Festival” ad Asti, città natale sua e di Giorgio, porta in giro per l’Italia l’eredità culturale e spirituale del marito.
Perché L’ultimo giorno di sole era la cosa a cui Giorgio teneva di più? E qual è stata la genesi dell’opera?
Questo racconto era stato pensato per il teatro e Giorgio avrebbe voluto occuparsi della regia e sarebbe stato proprio il suo debutto come regista. In questo lavoro sono affrontati diversi temi sui quali negli ultimi anni si ritrovava spesso a fare riflessioni, pensieri. Inoltre l’opera univa scrittura e musica, con 8 monologhi e 8 pezzi musicali, le due forme espressive che più lo coinvolgevano.
In una calda sera di maggio del 2013, stavamo assistendo a uno spettacolo teatrale in cui recitava Chiara Buratti, l’attrice che ora interpreta il ruolo della protagonista nello spettacolo teatrale. Da quel momento ha cominciato a prendere forma nella sua testa una storia che da subito aveva cominciato a visualizzare, raccontata su un palcoscenico, attraverso linguaggi diversi. Una storia con un unico personaggio costruito appositamente per Chiara e per la sua capacità di tenere la scena.
Giorgio era un entusiasta, ma era anche molto esigente: dava opportunità, ma, allo stesso tempo, non faceva sconti. Quindi, a mano a mano che scriveva i monologhi e le canzoni, provava il tutto con Chiara finché entrambi non erano soddisfatti dell’interpretazione. Quando è arrivato il momento di dare una veste alle musiche, ha pensato ad un’altra astigiana, Andrea Mirò, perché ha visto in lei una sensibilità artistica vicina alla sua, e i diversi linguaggi hanno cominciato quindi a dialogare tra loro. D’altronde, l’utilizzo di varie forme espressive è sempre stata una prerogativa di Giorgio.
Non mi ha affidato nessuna missione perché ha sempre sperato di potersene occupare lui, una volta guarito. Semplicemente io ho portato a termine il lavoro da lui iniziato e al quale stava lavorando con grande entusiasmo. Io ho definito la struttura teatrale dello scritto, ho prodotto lo spettacolo, portando avanti gli arrangiamenti musicali e curando la scenografia. E poi mi è sembrato naturale che questo racconto dovesse trovare spazio anche tra le pagine di un libro, oggetto che Giorgio ha amato fin da bambino. E da qui la decisione con Elisabetta Sgarbi (presidente della Baldini & Castoldi, rilevata da La nave di Teseo) di pubblicare il testo originale di Giorgio, dal quale abbiamo tratto la versione teatrale.
Se dovessi in poche parole raccontare la passione di Giorgio per la scrittura, cosa ti verrebbe in mente?
Quest’anno fra pochi giorni cade il quindicesimo anniversario dall’uscita di Io uccido, libro di cui si è scritto e si è parlato tanto. Giorgio era sin da bambino un lettore vorace e in età adulta amava molto leggere gli scrittori americani, da Spillane ai contemporanei Connelly e Deaver. In un’intervista, disse: “Dopo aver letto tanto, ho scritto innanzitutto un libro che mi sarebbe piaciuto leggere”. Riassumerei con questa frase la sua passione per la scrittura.
C’è qualcosa che a Giorgio faceva male dell’atteggiamento dei colleghi della TV e del teatro o della critica nei confronti del suo nuovo ruolo di scrittore?
Lui teneva a specificare che era un autore di genere e non aveva mai avuto velleità da Nobel della letteratura, ma in Italia sembra che venga mal digerito il fatto che un artista possa avere talento in più ambiti e ambiti così diversi. Ecco una cosa che lui pativa molto. Eppure la poliedricità è proprio nel nostro DNA italiano. Si pensi a Leonardo da Vinci.
So che stai portando avanti parecchi iniziative per dare continuità alla vita artistica di Giorgio. Ce ne vuoi parlare?
Io, insieme agli amici più cari, sono sempre stata convinta del fatto che sia giusto ricordare Giorgio per i suoi successi in vita, ma poterlo raccontare con i progetti nuovi ai quali lui stava lavorando è sicuramente il modo più bello per continuare a parlare di lui. Semplicemente, nel massimo rispetto dell’artista, portiamo avanti i progetti che erano in cantiere e che gli stavano a cuore. Dallo spettacolo teatrale di cui abbiamo parlato prima all’album di inediti Anche dopo che tutto si è spento, uscito lo scorso novembre in occasione del suo compleanno, al “Premio Giorgio Faletti” ( www.premiogiorgiofaletti.it ) di cui ci sono state già due edizioni. Insomma modi diversi per continuare a raccontare Giorgio.
A un grosso nome pubblico che decida di mettersi alla prova in un campo diverso dal suo, Giorgio cosa suggerirebbe?
Che è sacrosanto. Quando non si hanno più stimoli in una data direzione, è giusto cercare nuove forme di espressione.

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