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La faccia nascosta dello scambio di ostaggi a Jenin

In Cisgiordania una madre ci racconta le atroci vicende che hanno interessato lei e la sua famiglia e, in un sottofondo catastrofico, la sua unica ragione di vita risiede nel poter rivedere i figli.

La faccia nascosta dello scambio di ostaggi a Jenin
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21 Dicembre 2023 - 19.01


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Questa è una delle esercitazioni svolte dalle studentesse e dagli studenti che stanno frequentando il laboratorio di giornalismo, tenuto dal Professore Maurizio Boldrini. Sono da considerarsi, per l’appunto, come esercitazioni e non come veri articoli.

di Matteo Lauri

Ieri è stata una giornata davvero particolare: a Jenin l’alba è arrivata rapidamente illuminando i palazzi scalfiti e solitari. Intorno una strana e terrorizzante calma apparente dominava la situazione e, la paura di alzare gli occhi al cielo per scorgere la traiettoria di eventuali missili, o di percepire il boato dell’arrivo dell’esercito israeliano, si scontrava con un’incomprensibile e paradossale speranza. Quello era il giorno in cui, stando agli accordi stipulati tra le due parti in guerra, Aida, donna palestinese di 46 anni, stava aspettando che i suoi due figli Nadir e Rashad fossero liberati dall’esercito israeliano. I due giovani gemelli, appena maggiorenni, sono stati presi in ostaggio durante un durissimo scontro della settimana scorsa. Aida ci racconta come lei ed i suoi figli avessero come unico sogno un futuro migliore per la loro famiglia.

Nadir e Rashad volevano solamente avere la possibilità di studiare, di costruirsi un futuro e di poter migliorare le proprie condizioni di vita. Ma tutto era cambiato pochi giorni fa, quando l’esercito israeliano fece irruzione nel loro quartiere, il quale era riuscito a sfuggire in questi anni alle atrocità ed ai terrori della guerra. Quello era un giorno caratterizzato da duri scontri in cui il limite tra la volontà di scappare coraggiosamente combattendo, ed il nascondersi mestamente tra le mura delle case circostanti era sempre più sottile. Mentre Aida decise di optare per la seconda opzione, i figli fecero un errore fatale, dettato dalla spasmodica curiosità di capire la situazione al di fuori delle proprie mura domestiche. Le uniche cose che Aida ha vivide nella sua mente sono le urla disperate dei figli che, di fronte ai militari israeliani, niente erano in grado di fare se non pregare gli aggressori di avere pietà. Da quel giorno, l’unica cosa che tiene in vita la donna palestinese è la flebile speranza di poter riabbracciare i propri figli, di rivederli e di non abbandonarli mai più. Aida spiega come loro non sono che vittime di qualcosa che è più grande di loro, di una lotta infinita per una terra che entrambe le forze in campo percepiscono come propria; ci spiega come il cercare di capire quale dei due popoli abbia prevalentemente ragione, sia la più ardua delle imprese.

Riconosce come il popolo ebraico abbia radici antichissime legate a questa terra, ma anche come la popolazione palestinese, soprattutto quella presente nella striscia di Gaza, sia costretta da anni a subire costantemente soprusi, e di vivere in condizioni disumane. Nonostante numerosi tentativi di negoziati, di dialogo e di confronto tra le parti, non si è mai riusciti a giungere ad una situazione risolutiva; Aida ricorda come, sin dalla giovane età, instabilità politica e povertà facevano da sfondo ai duri momenti in cui il combattimento sembrava l’unico possibile mezzo per giungere a qualcosa di conclusivo. La percezione è sempre stata la stessa: momenti di altissima tensione si alternavano con rari momenti di distensione, ma aleggiava immancabilmente quella sensazione di stanchezza di fronte ad una situazione complessa, intricata, di fronte ad un labirinto in cui l’ira e la violenza facevano perdere la retta via ad entrambi i popoli.

Ci evidenzia una situazione che è comune a tutte le guerre, ovvero l’indifferenza della controparte politica e militare nei confronti dei civili. La popolazione è sempre la parte che subisce i peggiori abusi, che soffre e che, nonostante la maggior parte di questa desideri un dialogo e solamente di condurre normalmente la propria vita, è costretta a lottare contro la morte, o contro il proprio terrore di vedersi privati della propria famiglia o della propria umanità. Nelle ultime settimane la parte civile ha avuto un ruolo fondamentale e di grande importanza. Le persone prese in ostaggio hanno ricoperto un ruolo estremamente strategico, soprattutto da un punto di vista militare e politico.

Tutto il mondo ha il fiato sospeso di fronte alle persone che giornalmente dovrebbero essere liberate, e che sono trattate come se fossero una merce, deprivata della loro umanità. Il momento in cui gli ostaggi vengono scambiati è oggetto di attenzione maggiormente per le ripercussioni politiche e militari, piuttosto che per la fine dell’incubo che queste persone hanno vissuto. Tuttavia, grazie ad Aida, abbiamo capito che le persone, pur di poter rivedere i propri cari, scendano a qualsiasi compromesso, fino al punto di mercificare esseri umani. In seguito a queste profonde riflessioni che la donna palestinese ha fatto durante quella lunga attesa, ormai l’ora del rilascio dei suoi figli stava arrivando, e l’ansiosa attesa era diventata di un peso insostenibile. Nel frattempo che Aida esponeva le proprie ansie e perplessità riguardo la situazione della Palestina, la calda luce dell’alba aveva lasciato il posto ad un monotono ed uniforme grigiore.

Anche lo sguardo di Aida, precedentemente illuminato dalla speranza, sembrava essersi spento. Ciò che si poteva percepire era la stanchezza e la disperazione di fronte ad una situazione che ancora sembra senza una vicina soluzione, di due popoli che, pur avendo simile origine, sono legati profondamente dal sangue versato. Aida è stanca di fronte alla vanità di tutte le questioni che alimentano il conflitto, se paragonati alla possibilità di poter rivedere una volta ancora i suoi figli.

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