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Maria Lai: parole e telai d’artista al di là del femminismo

Il Maxxi di Roma dedica una vasta retrospettiva a un’artista speciale. Al museo ne parla Michela Murgia

Maria Lai: parole e telai d’artista al di là del femminismo
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9 Luglio 2019 - 11.40


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Maria Lai è stata un’artista che probabilmente molti di noi possono comprendere più oggi di quando era in vita e praticava un’arte molto speciale, legata tanto alle pratiche femminili come alle forme d’rate contemporanea più audaci e libere. Faceva telai come opere che rimandano alla pittura informale, al materiale grezzo che si fa pieno di significati. Le sue tele sono percorse da fili rossi o nero cuciti, gli abiti e i libri hanno parole cucite a mano con una fitta calligrafia e forti sugggestioni poetiche. Qualcuno la vorrebbe forse interprete e di un’arte “femminista”, ma è bene dirlo con chiarezza: se la cultura femminista è nella sua pratica d’arte, nella sua determinazione e coraggio, incasellarla in una categoria, in un movimento, sarebbe farle un torto.

A rendere onore a una figura a lungo trascurata, sarda, vissuta dal 1919 al 2013, da qualche anno benedetta da una giusta notorietà crescente post-mortem è, con un’ampia retrospettiva, il museo nazionale delle arti contemporanee Maxxi di Roma affiancato dall’Archivio Maria Lai e dalla Fondazione Stazione dell’Arte, dell’omonimo museo a Ulassai, nel suo paese d’origine in Sardegna. Il centro in viale Guido Reni nel quartiere Flaminio ha una mostra in corso fino al 12 gennaio dal titolo poetico ripreso dalle parole di Maria Lai medesima: «Tenendo per mano il sole».

«Legarsi alla montagna» con gli abitanti di Ulassai
Sarda, nata e vissuta a lungo in un paesino dell’Ogliastra, Ulassai, è stata un’artista singolare e difficile da inquadrare: tra le sue operazioni più esaltanti si inscrive un lunghissimo nastro azzurro, ripreso da una leggenda sarda su una bambina che si salva dal crollo di una grotta perché insegue un filo azzurro visto volare ed esce da quell’antro. Nel 1981 l’artista chiese agli abitanti del borgo di Ulassai di dipanare un lunghissimo nastro azzurro per case, muri, strade, auto, le pareti rocciose del monte e qualunque altro oggetto incrociasse quel filo, e gli abitanti acconsentirono. «Legarsi alla montagna», chiamò quell’azione.

Fu un’azione artistica da inserirsi nell’audacia esplorativa degli anni ’60 e ’70. In Maria Lai prevaleva un forte senso di umanità senza escludere affatto la cura delle forme e del ritmo visivo, tutt’altro. Giusto pertanto che il Maxxi ricordi con video storico questo intervento così come comprenda i suoi telai inseriti in quadri a tre dimensioni, libri fatti di fili e parole, abiti con versi di Quasimodo cuciti sul bianco.

Punto per punto, cosa racconta la mostra
Con circa duecento lavori «Tenendo per mano il sole» si focalizza sull’arte di Maria Lai dagli anni Sessanta in poi. Com’è organizzata?
Primo punto: la rassegna è disposta in modo nitido e una retrospettiva così vasta su Maria Lai finora non s’era data. Parliamo di un’artista dalla personalità marcata che prendeva la sua strada e alla quale non interessava fiutare mode né un successo mediatico-commerciale.
Secondo punto: Maria Lai incarna una pratica d’arte smaccatamente e volutamente femminile, rivendica la potenza del pensiero e dell’agire femminile nel suo farsi opere di legno, fili, astrazioni, e sa spiazzare, ha canoni tutti suoi.
Terzo punto: se il femminismo può legittimamente eleggerla a riferimento, al contempo Maria Lai è artista di gran valore perché presta una cura serrata alle forme, ai cromatismi, all’equilibrio di un filo rosso tessuto su fondo azzurro chiaro con un rettangolo dorato; il suo lavoro matura da un’accorta regia, da una profonda consapevolezza d’autrice di immagini in grado di rimandare al profondo, alla psiche.
Quarto punto: Carlo Alberto Bucci, giornalista di Repubblica e storico dell’arte che conosce l’opera di Maria Lai, all’apertura alla stampa della retrospettiva osservava a “globalist” come il Maxxi avrebbe dovuto esporre anche alcuni disegni degli anni Quaranta e Cinquanta. La scelta sarebbe stata giusta non per puro gusto di filologia quanto per far comprendere come quella cura formale nei fili e nell’intrecciare telai a tavole di legno seguisse con coerenza il riflettere di Maria Lai fin dagli anni Quaranta e Cinquanta sul disegno, sulla forma stessa dell’arte. Detto in sintesi: un filo coerente lega il periodo più legato alle avanguardie del primo Novecento alla caparbietà e alla regia accurata delle opere più tarde.

Le scuole e Michela Murgia tra gli incontri
La mostra è curata dal direttore del Maxxi Bartolomeo Pietromarchi e da Luigia Leonardelli, nel museo alla Stazione dell’Arte a Ulassai si tiene un’altra retrospettiva parallela, più piccola, curata da Davide Mariani e dal titolo «Tenendo per mano l’ombra»; la retrospettiva ha il patrocinio del Comune sardo ed è sostenuta dalla Fondazione di Sardegna. Il museo ha meritoriamente più opere nella sua collezione. Il catalogo è pubblicato da 5 Continents. Accompagna la mostra un fitto programma di approfondimenti, laboratori e incontri, molti peraltro indirizzati a ragazzi delle scuole primarie e delle secondarie, a famiglie. Tra gli appuntamenti, il 10 luglio nella piazza del Maxxi Michela Murgia racconta Maria Lai a partire dal suo libro Noi siamo tempesta. Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo.

Il sito del Maxxi

L’archivio Maria Lai

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