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Radio Resistenza di Fausta Cialente, scrittrice avventurosa

Vi proponiamo un estratto dal libro di Maria Serena Palieri su un’autrice di valore, ingiustamente ignorata, e sulla sua attività antifascista con gli Alleati al Cairo

Radio Resistenza di Fausta Cialente, scrittrice avventurosa
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2 Giugno 2018 - 10.14


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“Radio Cairo. L’avventurosa vita di Fausta Cialente in Egitto” (Donzelli, pp. 244, euro 25) è il libro in cui Maria Serena Palieri ricostruisce l’avventura che Fausta Cialente visse negli anni della Seconda Guerra Mondiale al Cairo combattendo prima la “guerra dell’etere” per gli Alleati, con una radio che duellava con le voci dell’Asse, poi dirigendo il giornale “Fronte Unito”. È, questo episodio della “Resistenza lontana”, documentato da uno straordinario documento, il diario che l’autrice di capolavori come “Cortile a Cleopatra” tenne in quegli anni e che qui, per la prima volta, arriva al pubblico. Con una scrittura appassionata e appassionante, il libro s’impegna anche a restituirci la figura letteraria di una scrittrice caduta in un ingiusto oblio. Ve ne proponiamo un estratto.

Maria Serena Palieri

Il 10 giugno 1940 tra i poco più di venti milioni di italiani che vivono all’estero, sparsi tra l’Europa, le Americhe, l’Australia e l’Africa, e che lì apprendono, dal discorso del duce, che l’Italia è entrata in guerra, c’è una donna che si chiama Fausta Cialente. Ha quarantun’anni e da diciannove vive ad Alessandria d’Egitto.
Possiamo definirla un’emigrata? In un certo senso sì, perché a spingerla ad attraversare il Mediterraneo è stato il bisogno di costruirsi una vita nuova, e questo è il dato che – oggi come allora – accomuna chi emigra. Quasi quarant’anni dopo, in una stagione di bilanci, Fausta Cialente ammetterà infatti con se stessa che quella è stata «una fuga»: è scappata da una famiglia che oggi definiremmo disfunzionale, e con quel viaggio oltremare si è sottratta alle manie di un padre che imponeva alla moglie e ai figli un singolare, perpetuo vagabondaggio senza un motivo.
Certo, però, è un’emigrata sui generis. Perché è una ragazza di buona famiglia e quindi ha trovato la via di fuga nel matrimonio. Non è andata a servizio o a lavorare in filanda o a prostituirsi, come altre giovani donne italiane hanno dovuto fare nell’Ottocento e ancora fanno in quella prima metà del Novecento. A 22 anni, Fausta Cialente ha incontrato in Liguria un uomo molto più grande di lei, Enrico Terni, agente di cambio e vicedirettore della filiale alessandrina del Banco di Roma, già padre di due figli avuti da un precedente matrimonio, critico musicale e compositore.
L’uomo, all’epoca quarantacinquenne, le è sembrato adatto. Perché di musica Fausta si era nutrita a casa del nonno materno, Gustavo Wieselberger. Così con Enrico Terni si sono sposati il 21 maggio 1921 a Fiume, allora «città-stato».
I Terni sono in Egitto da tre generazioni e il marito è ben introdotto nella locale borghesia colta. Da espatriata benestante, per i diciannove anni successivi al matrimonio Fausta Terni Cialente non ha dunque affrontato la dolorosa esperienza di un addio definitivo al paese natale vissuta, in quell’epoca, da molti «veri» emigranti. Lei ha mantenuto rapporti costanti con l’Italia: una volta l’anno, d’estate, col marito e con la figlia Lionella – Lili è nata nel 1923 – si è imbarcata sul piroscafo e ha trascorso alcune settimane in patria, rivedendo la famiglia e trascorrendo le vacanze sulle Dolomiti. Nel 1938 ha salutato il fratello – Renato, attore affermato di teatro e di cinema – senza sapere che la vita non avrebbe loro concesso di incontrarsi ancora.

Le forbici dei censori

C’è, però, una parte fondamentale della sua esistenza che non trova un posto in patria e che, a giugno del 1940, pochi ancora conoscono sulla nostra sponda del Mediterraneo: è il suo lavoro di scrittrice. Fausta ha pubblicato racconti su riviste e ha scritto due romanzi. Il primo è Natalia, il secondo è quel Cortile a Cleopatra che è, e resterà, il suo capolavoro. Ma, benché sia riuscita a ottenere in Italia due riconoscimenti letterari, il Premio dei Dieci per Natalia, nel 1930, e il Galante per il racconto Marianna due anni dopo, e benché grazie all’amicizia con Sibilla Aleramo abbia visto la traduzione e la pubblicazione del primo romanzo in Francia, la lontananza l’ha condannata per ora, qui in Italia, a una vicenda editoriale frustrante: ciò che scrive incorre nelle forbici di censori occhiuti, le riviste che la ospitano vengono chiuse dal regime, una buona parte delle copie di Cortile a Cleopatra, nell’economia del «riciclo» causata dalle sanzioni, è finita addirittura al macero…
Di là dal Mediterraneo, in Egitto, Fausta Terni Cialente è invece nota come «femme des lettres». Così la definisce «Le Mondain Égyptien» nel 1939. Non riporta al contrario, questo annuario che è il who’s who locale, l’altra attività nella quale è impegnata dal 1935: la militanza antifascista che svolge assieme al marito avendo come base, ad Alessandria, il circolo culturale l’Atelier.

“Mi sento come un uccello imprigionato”

Il 10 giugno 1940 l’Italia entra dunque in guerra a fianco della Germania nazista. Pochi mesi dopo per la quarantunenne Fausta comincia un’esperienza imprevedibile e di grande significato. La Cialente scrittrice scomparirà per sette anni: è infatti arruolata dagli inglesi di stanza al Cairo, benché a protettorato formalmente finito, nella battaglia dell’etere in favore degli Alleati. L’unica scrittura in cui si impegnerà, d’ora in poi, sarà il resoconto giorno per giorno di questa nuova vita: il suo «diario di guerra». In nove quaderni il testo registra gli avvenimenti dal 2 febbraio 1941 al 27 luglio 1947. È – il diario di Fausta Cialente – lo specchio di quello che sta succedendo nel mondo. Ma è anche una privilegiata chiave di accesso al mondo interiore di una donna – un’artista tra le più grandi del nostro Novecento – che per il resto pratica il riserbo come stile di vita.
(…) Com’è avvenuto che l’elegante signora Terni, questa donna magrolina dagli occhi scintillanti, madre di una ragazza diciassettenne, animatrice della vita culturale della cosmopolita Alessandria d’Egitto, sia stata arruolata dai britannici? (…) L’antefatto alla narrazione che il diario, poi, farà «in diretta» lo troviamo in un primo abbozzo di romanzo che Fausta Cialente ha steso il 24 novembre 1946, alla stazione di Sidi Gaber, quando, arrivata in anticipo, ha ingannato l’attesa del treno per Il Cairo scrivendo. Così appunta il giovedì successivo proprio nel suo diario: «Non sapendo che fare, al piccolo caffè della stazione, fra uno scroscio di pioggia e un nugolo di mosche appena venne il sole, ho scritto il primo capitolo, o meglio l’introduzione del libro, col titolo provvisorio Middlist, ovvero Middle East. Non so quel che valga, come pagina, ma l’ho scritta con emozione. Dovrò rivederla, tra qualche tempo. La pietra così è gettata». La pagina buttata giù quella mattina è questa che leggiamo ora, in cui ricostruisce il suo primo incontro con le autorità britanniche, nella figura del colonnello C.J.M. Thornhill:
Ottobre 1940. Il grande caldo estivo brucia ancora nel cielo polveroso del Cairo. Fuori dalla finestra spalancata vedo gli alberi ondeggianti di Garden City sfumare nel buio che invade lo spazio tra case e giardini. Il piantone britannico mi ha introdotta in una piccola stanza dove siedo sul divano a fianco d’una matura signora vestita di giallo, alta e bruna, piuttosto bella. Gran dama sembra; o piuttosto vuol apparire. I suoi occhi scuri irradiano una luce durissima, un gioiello le splende sul petto. Quando il colonnello m’interroga, agitata traduce a scatti domande e risposte con un’esattezza molto relativa, mi sembra. (Saprò, dopo, ch’è veramente una signora dell’alta comunità ebraica e si è offerta agl’inglesi per «collaborare» quale traduttrice). Mi sento triste e abbattuta, io, mi sembra d’essere un uccello imprigionato nella pania e un vago senso di vergogna m’invade ascoltandomi rispondere non con sicurezza, ma con un reticente timore.

“Sono antifascista da sempre”

Il colonnello sta seduto alla scrivania di fronte a noi. Mi ha interrogata brevemente, sobriamente, senza simpatia né il contrario, e sembra che ora pensi ad altro; anche questo verrò a sapere, dopo; in quei giorni, per difendere l’Egitto dall’avanzata di Graziani, gl’inglesi avevano, come aviazione, solamente due squadriglie di aerei. Adesso, intanto, ho risposto al colonnello che le sue informazioni sul mio conto sono esatte: sono antifascista da «sempre», ma fino ad oggi mi sono occupata di letteratura soltanto e mai di politica. Avrei accettato nondimeno di compilare i notiziari e i commenti in italiano, che dovranno esser trasmessi ogni sera dalla radio del Cairo, diretti alle truppe che il fascismo ha mandato a combattere in Libia, e dovrebbero esser uditi anche in Italia. Su ordine del generale Wavell la radio dovrà funzionare il 21 ottobre, e siamo il 18. Tempo è venuto di agire, per noi. Ma le nostre ragioni, profonde, drammatiche e anche vecchie, oramai, non si possono dire a un colonnello inglese. Egli ha ascoltato pensieroso e impassibile le mie brevi risposte, che ho formulato pensando anche ai miei amici, alla grave responsabilità che assumo per me e per essi. Ad un tratto lo vedo prendere il telefono che sta davanti e a voce bassa chiama fra i denti: Middle East. La parola cade dentro il mio cuore come un sasso nell’acqua, mi attraversa dalla testa ai piedi.

 

 

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