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Tiziano Bonini: le parole di Battiato avevano qualcosa di speciale per noi studenti universitari

"Nella radio dell'ateneo di Siena avevamo tanti gusti musicali diversi ma su di lui c'era pieno accordo". Uno dei massimi esperti di radiofonia e di media digitali ricorda quei giorni e un viaggio in Spagna

Tiziano Bonini: le parole di Battiato avevano qualcosa di speciale per noi studenti universitari
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18 Maggio 2021 - 15.25


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Tiziano Bonini insegna Mass media, Cultura digitale e società e Sociologia della comunicazione all’Università degli studi di Siena. E’ uno dei massimi esperti di radiofonia e di media digitali. Ha scritto per noi questo ricordo dei suoi anni senesi, quando giovane studente di Scienze della comunicazione era uno dei principali animatori della radio universitaria.

 

di Tiziano Bonini

 

Nel 2001 ero ancora uno studente dell’Università di Siena e stazionavo tutte le mattine nelle stanze della redazione di FdF, Radio Facoltà di Frequenza, la radio in FM dell’ateneo senese. Insieme ad altri amici come Tommaso Ceccarini, Federico Saracini e Luca Parenti facevano un programma che si chiamava Così Lontano, così vicino, ma oltre a questo c’era sempre da fare qualcosa: la regia di un altro programma, qualche discussione sui turni, la sostituzione improvvisa di qualche studente al microfono. La radio era ascoltata nei bar dove andavano gli studenti o fuoriusciva dai davanzali aperti che si affacciavano su Via Pantaneto, la via che rappresentava una sorta di salotto degli studenti a cielo aperto.

 

Avendo come unico capitale culturale la conoscenza musicale, in redazione ci si scontrava sui gusti musicali, ognuno cercava di distinguersi dagli altri portando in radio musica il più possibile sconosciuta e di nicchia. La musica era una questione di distinzione sociale, il terreno dove potevamo costruire la nostra identità e segnalare con chi ci piaceva stare e chi invece non ci piaceva frequentare. Dentro la radio c’erano diverse correnti, i discotecari con la musica disco commerciale, i punk, gli amanti nostalgici e quasi emo dei Beatles, quelli che decostruivano la musica colta per le masse (L’Operaio, come dimenticarla?), i patiti dell’indie americano e degli Smiths, come me e i miei amici, i “vecchi dentro” che a vent’anni amavano i cantautori italiani degli anni ’70. Eppure c’era qualcosa capace di attraversare tutte queste stupide barriere ideologiche. C’era una lingua franca che ci accomunava tutti, e questa lingua era Franco Battiato.

 

Battiato era amato da tutti gli studenti che animavano la radio, era trasmesso da tutti, e canticchiato da tutti. Battiato era pop, era colto, era rock, era folk, era world, era cantautore italiano, era elettronico, era new wave, era leggero, era pesante, era romantico, era cinico. Battiato attraversava tutto lo spettro emotivo dell’inquietudine senza età tipica dei ventenni.

Battiato se ne fregava degli steccati di genere, usava le mode e i suoni del momento per scrivere saggi esistenziali che erano poesie colte, incomprensibili, rivelatrici, semplici.

Tutti portano un pezzo delle parole di Battiato con sé, ma gli studenti universitari con cui ho condiviso quegli anni erano tutti particolarmente innamorati di Battiato. Battiato è di tutti, ma credo che le sue parole avessero qualcosa di speciale in particolare per gli studenti universitari, che cercavano di intellettualizzare le emozioni e allo stesso tempo di dare un corpo emotivo alle loro velleità intellettuali.

 

L’ultimo ricordo che ho di quel periodo è un viaggio in furgone verso il sud della Spagna, durante un Erasmus a Madrid. C’erano amici spagnoli, belgi, e torinesi. La notte era fonda, e le strade che scendevano verso il mare erano parecchio buie, avevamo appena bucato una gomma e dallo stereo risuonava una cassetta, o un CD, non importa, di Battiato, era La Voce del Padrone. Ci piaceva quella copertina così simile, nelle geometrie e nelle palme, ai Cure di Boys don’t Cry. I miei amici spagnoli, belgi e torinesi cantavano a squarciagola Battiato. Anche loro. Studenti universitari europei con le stesse inquietudini e paturnie emotive dei loro coetanei.

Quel giorno mi ricordo che pensai che Battiato non era tanto italiano, ma era mediterraneo, esprimeva una cultura mediterranea antica e modernissima, che mescolava tutto in maniera post-moderna. Battiato è stato una lingua franca per studenti italiani, mediterranei ed europei.

Battiato era amato dagli studenti e forse lo è ancora, perché non è mai invecchiato. I desideri non invecchiano, quasi mai, con l’età.

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