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Gli scritti dal carcere di Bobby Sands, l’irlandese che la Thatcher lasciò morire di fame

Pubblicati i testi poetici del militante morto per sciopero della fame. Ne parla Sam Millar, autore di noir che condivise la prigionia: “Di lui ti potevi fidare. Era coraggiosissimo”

Gli scritti dal carcere di Bobby Sands, l’irlandese che la Thatcher lasciò morire di fame
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13 Ottobre 2020 - 18.55


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di Rock Reynolds

Il martirio è un tratto classico, quasi archetipico, di ogni movimento libertario nella storia dell’umanità, inevitabile conclusione drammatica di quella che ha i tratti tipici della tragedia greca: il sacrificio di una figura cardine per il bene della collettività. La storia del movimento repubblicano irlandese ne è zeppa. Particolarmente frequente è la scelta dell’autocancellazione attraverso la morte per inedia, modalità prediletta dell’attivista irlandese nei secoli per immolarsi alla causa. La lotta indipendentista dell’Irlanda per liberarsi dal giogo britannico ha dovuto fare i conti, tra le varie violenze e i vari soprusi, persino con la scelta delle forze di occupazione di nutrire forzatamente chi aveva deciso di lasciarsi morire, talvolta ottenendo esattamente ciò che si stava tentando di evitare: la morte del ribelle, soffocato dal cibo che gli veniva schiaffato in gola.

Nel 1981, però, quando i militanti dell’IRA, l’Esercito Repubblicano Irlandese (Irish Republican Army), rinchiusi nei famigerati H-Blocks del carcere di Long Kesh, indissero uno sciopero della fame per far conoscere al mondo l’intransigenza cieca e la pervicacia del primo ministro britannico Margaret Thatcher, sordo alla semplice richiesta di un trattamento più umano e, soprattutto, della concessione dello status di prigionieri politici, nessuno fu nutrito forzatamente. A capo di quel gruppo di giovani votati al martirio c’era Bobby Sands, il più alto in grado tra i prigionieri dell’IRA a Long Kesh, un veterano del carcere seppur giovanissimo, con sette anni di reclusione alle spalle, malgrado la sua età fosse di soli 26 anni. E Bobby Sands, il capintesta della clamorosa protesta, sapeva bene che, dopo il fallimento di un altro sciopero della fame nel 1980, stavolta chi vi avesse preso parte sarebbe andato fino in fondo, conscio che la Lady di Ferro non si sarebbe mai piegata alle rivendicazioni di quelli che considerava terroristi spietati. E lo sapeva pure Margaret Thatcher, che non ebbe mai il minimo tentennamento, per lo meno in pubblico, e il minimo slancio di solidarietà per quei ragazzi votati alla morte.

Oggi, finalmente, è disponibile in italiano l’intera raccolta di poesie e pagine di prosa che Bobby Sands scrisse a Long Kesh. Scritti dal Carcere (Edizioni Paginauno, traduzione di Riccardo Michelucci ed Enrico Terrinoni, pagg 270, euro 18), anticipato dall’ottima introduzione di Riccardo Michelucci, uno dei due traduttori, ci restituisce un Bobby Sands poeta commovente e fine dicitore, un autore a cui la dedizione alla causa strappò la giovinezza, impedendogli di realizzare il sogno di diventare un artista compiuto.
Le sue liriche accorate, probabile retaggio della tradizione cantautorale irlandese oltre che della nobile stirpe dei poeti dell’isola, non possono essere scevre dal profondo senso di ingiustizia regnante nelle celle degli H-Blocks, dagli aneliti di libertà (espressi soprattutto attraverso la ricorrente metafora dell’uccello che riesce, malgrado tutto, a spiccare il volo), dalla speranza in un mondo migliore e in un’Irlanda libera.

Sam Millar, oggi stimato autore di noir come I cani di Belfast (pubblicato in Italia da Milieu), ha condiviso con Bobby Sands diversi anni di reclusione negli H-Blocks. Una sottile parete divideva la sua cella da quella di Bobby e spesso i due si scambiavano messaggi e battute, quasi sempre in gaelico, per eludere la sorveglianza dei secondini, per rivendicare la propria identità culturale e pure per stizzire le guardie carcerarie, in larga parte protestanti e, dunque, lealiste, ovvero fedeli alla corona britannica e al relativo governo. Millar resta un irriducibile e non ha mai digerito gli accordi che portarono alla fine del secondo conflitto angloirlandese del secolo scorso. Il suo ricordo di Bobby è tuttora vivissimo.
“Bobby era una ragazzo normalissimo, fatta eccezione per il suo coraggio, naturalmente. Ma era una persona umile che amava la musica e, che ci si creda o meno, il calcio inglese. Sono certo che facesse il tifo per l’Aston Villa. Ovviamente, talvolta poteva essere una persona serissima, ma, nel periodo trascorso insieme negli H-Blocks, bisognava tirarci su di morale e non essere sempre seri. Gli piaceva fare scherzi ai compagni di prigionia ed era un narratore formidabile. L’ultima volta che lo vidi di persona fu alla fine del primo sciopero della fame, conclusosi in un disastro, dato che eravamo davvero convinti che gli inglesi avrebbero mantenuto la parola data, ovvero cambiare la condizione di noi prigionieri negli H-Blocks. Ovviamente, non lo fecero. Se l’avessero fatto, non ci sarebbe stato un secondo sciopero della fame e Bobby e i suoi nove compagni oggi sarebbero ancora in vita”.

Cosa faceva di lui un leader?
Ci sono uomini che vengono scelti per un ruolo di leadership; altri fanno di tutto pur di salire al vertice. Bobby, invece, era un leader naturale, una di quelle persone di cui ti potevi fidare e nelle cui mani potevi mettere la tua vita. Non ti avrebbe mai chiesto di fare qualcosa che non fosse lui stesso pronto a fare.
Qual è il ricordo più vecchio di Bobby che lei serbi?
Quando prese parte alla protesta della coperta, quella in cui ci rifiutammo di indossare le normali divise carcerarie e, pertanto, fummo costretti a restare nelle celle, dove facevamo i bisogni e vivevamo tra i nostri stessi escrementi. Io la facevo da un paio d’anno e, dunque, lo prendevo in giro, dicendogli che lui era un semplice apprendista e io il veterano.
Che ricordi ha dell’inizio dello sciopero della fame?
Come ho già detto, Bobby era l’ufficiale in capo dei prigionieri e fece un giro delle celle per comunicarci che gli inglesi avevano fatto marcia indietro rispetto alle promesse fatte nel corso del primo sciopero della fame. Era invecchiato notevolmente e si vedeva che portava un pesante fardello sulle spalle, ben sapendo che avrebbe condotto il prossimo sciopero della fame e che probabilmente sarebbe morto per mano della Thatcher. Vederlo in quello stato mi spezzò il cuore. Non me lo scorderò mai.
Quale eredità Bobby lasciò al mondo intero, non solo all’Irlanda?
Il suo messaggio è chiaro: gli oppressori sopravvivono soltanto se non li affronti o se ti aspetti che a combattere per te sia qualcun altro. Le persone che parteciparono alla protesta della coperta e allo sciopero della fame cambiarono l’Irlanda per sempre. Avevamo attaccato gli inglesi e loro pensavano di aver vinto. Invece, come il tempo ha dimostrato, gli inglesi magari vinsero quella battaglia particolare nei confronti dei prigionieri (e pure quello non è così certo), ma, nel complesso, la guerra l’abbiamo vinta noi. Persone che prima non avevano mai sostenuto l’IRA iniziarono a farlo. Ecco come lo Sinn Féin ha finito per essere la forza partitica dominante in tutta l’Irlanda.
Ci fu mai un atteggiamento solidale da parte di qualche guardia carceraria?
Odio i secondini. Li ho sempre considerati dei sadici codardi che non sono mai stati portati di fronte alla giustizia per ciò che hanno fatto a prigionieri inermi e nudi. Tuttavia, devo ammettere di averne personalmente conosciuto uno che era una brava persona e che ha cercato di alleviare le nostre sofferenze negli H-Blocks. Lo ho citato per nome nel mio memoir di successo, On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese.
Come pensa che avrebbero reagito Bobby Sands e gli altri nove giovani morti con lui nello sciopero della fame del 1981 di fronte agli accordi di pace del Venerdì Santo 1998?
Non parlo mai per i morti, a differenza di certi politici che sembrano convinti di poterlo fare ogni giorno. Lo trovo profondamente offensivo. I repubblicani sono estremamente divisi sugli accordi del Venerdì Santo. Qualcuno pensa che un accordo migliore non fosse raggiungibile; altri, come me, pensano che Gerry Adams e i membri della sua banda chiamata Sinn Féin ci abbiano svenduti e che noi abbiamo ottenuto pochissimo dagli inglesi in cambio della rinuncia alle armi. Ogni tanto, mi capita di sentire un politico dello Sinn Féin dire che, se oggi Bobby fosse vivo, sosterrebbe Gerry Adams e gli accordi di pace. È una sciocchezza assoluta e mi fa ribollire il sangue dalla rabbia perché non potremo mai sapere cosa ne avrebbero pensato Bobby e gli altri nove ragazzi morti con lui. Chi sostiene di poter parlare a nome dei morti dovrebbe cercare lavoro come chiaroveggente o venditore di fumo.

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