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Il Fast food delle serie tv

Una nuovo appuntamento settimanale sulla serialità televisiva e sulle nuove produzioni visive

Il Fast food delle serie tv
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3 Dicembre 2021 - 10.57


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di Vittoria Maggini

 

Perché una rubrica settimanale sulle serie televisive

Globalist Culture inaugura una nuova rubrica dedicata alle serie televisive.

Negli ultimi anni, c’è stata un’importante inversione di rotta del settore televisivo e cinematografico, che è passato da un sistema centralizzato di centri di produzione ad un altro che invece è differenziato sia nelle geografia che nelle produzioni. Oggi si investe molto in serie tv. Dal comedy al drama, dall’action al thriller, dai romanzi storici a quelli fantascientifici: i generi sono ormai tantissimi e si contaminano tra loro. Anche i gusti del pubblico sono cambiati. Come ha scritto Giovanni di Rosa nel libro Generazione seriale. Un viaggio nel mondo delle serie tv “lo spettatore dell’ultimo decennio non è più soltanto un osservatore, non è più passivo. Vuole dire la sua, vuole commentare, vuole scrivere, vuole condividere, vuole scegliere. E soprattutto è uno spettatore sovraesposto a stimoli”.

Forse è anche per questo che oggi molte persone preferiscono guardare una serie sul divano di casa, piuttosto che uscire per andare in una sala a vedere un film. Dunque, le serie tv sono così tante e diversificate che sorge spontanea una domanda: come scegliere quelle da vedere e quelle da scartare? Qui entra in gioco la nostra rubrica, dal titolo “Il Fast Food delle serie tv”: ogni settimana selezionerò alcune serie televisive. offrendo al lettore una personale chiave di lettura. In questa prima puntata parlo della stagione finale di “Gomorra” e del revival Dexter: New Blood” che torna sullo schermo dopo otto anni.

 

La stagione finale di Gomorra: torna Ciro, ma la trama ancora non convince

Era il 2014, quando Sky mandò in onda la prima stagione di Gomorra. Nessuno immaginava l’eco mediatico che questa avrebbe avuto, non solo in Italia, ma anche all’estero. Una creatura nata, tra gli altri, dalla penna di Roberto Saviano, dalla regia di Stefano Sollima e dai tanti  talenti del cast.

 

Ciò che rapì subito il pubblico di Gomorra fu l’autenticità nel raccontare una fetta di realtà del nostro paese di cui si teme di parlare. Con estrema lucidità e senza giri di parole, la serie ci ha fatto conoscere la vita attorno alle piazze di Secondigliano, Scampia, Napoli, senza risparmiare dettagli. Mescolando realtà e finzione, ci ha fatto conoscere i clan che dominano quelle piazze, persino facendoci affezionare alle storie dei personaggi principali.

 

Proprio in queste settimane sta andando in onda il capitolo finale di Gomorra, che si conclude proprio come è iniziato: con un testa a testa tra i due protagonisti, Ciro e Genny, che lottano per il potere, i due lati di una stessa medaglia di male assoluto.

Non c’è Genny senza Ciro e viceversa, non a caso la quarta stagione ha sentito il peso dell’assenza del personaggio interpretato da Marco D’Amore, perdendo quel ritmo serrato che aveva mantenuto fino ad allora e ripreso solamente nell’ultima puntata, con la morte di Patrizia e la scoperta che Ciro fosse vivo.

Sarà che dall’ultima stagione sono passati quasi tre anni, un film  (“L’Immortale”) e una pandemia di mezzo, sarà che gli sceneggiatori hanno oramai raccontato quello che c’era da raccontare, ma sembra che fino ad ora anche la quinta stagione abbia perso un po’ di smalto.

Senza nulla togliere agli attori principali, sempre magistrali nelle interpretazioni, incentrare la trama sulla guerra tra Ciro e Genny solo perché il primo non ha comunicato al secondo di essere ancora vivo risuona eccessivo, quasi infantile, non rende giustizia alla grandezza della serie. Se non altro, rimane fortissima l’impronta teatrale shakespeariana che da sempre caratterizza Gomorra.

Non resta che attendete i prossimi episodi e sperare nel colpo di coda finale.

 

 

Dexter  sullo schermo dopo 8 anni: un revival azzardato?

Da quando uscì la prima puntata nel lontano 2006, “Dexter” è stata una delle serie che più hanno fatto discutere pubblico e critica. Ispirata ai romanzi di Jeff Lindsay, racconta le vicende del protagonista Dexter, di giorno un innocuo collaboratore della polizia di Miami, di notte uno spietato serial killer che, seguendo un rigoroso codice di regole fornitogli dal padre adottivo quando era bambino, si impone di uccidere solamente quei malviventi che sono sfuggiti alla giustizia. Al centro del dibattito è sempre stato il controverso ma assai innovativo tema centrale che vede un serial killer assumere i connotati di un eroe. Infatti, nonostante la caratteristica tipica del sociopatico ovvero l’incapacità di provare empatia, ciò che ha fatto amare Dexter al pubblico è stata la sua profonda maturazione emotiva, che lo ha portato ad instaurare, a suo modo, rapporti di amore e amicizia.

 

Dopo ben otto stagioni oscillanti tra capolavoro ed eccessiva forzatura della trama, “Dexter” torna sugli schermi, riprendendo in mano il filo di un discorso rimasto in sospeso.

Spesso i sequel o i remake, specialmente dopo così tanti anni, non promettono bene. Pensiamo agli innumerevoli spin-off di serie e film di successo. È il modo dei produttori di soddisfare le richieste dei fan, che vogliono sapere il continuo della storia. Ciò che spesso non viene compreso però, è che a certe storie bisogna saper mettere un punto, al fine di non ridicolizzare la trama e perdere il senso della storia.

 

Fatta questa premessa, parliamo di “Dexter: New blood”. Dieci anni dopo il finale di stagione che ha diviso molti, il protagonista si è costruito una nuova vita: vive nella piccola cittadina di Iron Lake, dove tutti lo conoscono come Jim, un uomo pacato che lavora in un negozio di armi e che ha represso la sua sete di sangue. Ora, la sua coscienza non assume il volto del padre Harry, ma della sorella adottiva Debra, la donna che amava e della cui morte prova un profondo senso di colpa.

Tutto sembra essere coerente con le scorse otto stagioni, nonostante lo scenario televisivo di allora fosse profondamente diverso, anche grazie al ritorno di Clyde Phillips alla sceneggiatura (showrunner delle prime quattro stagioni) e di Marcos Siega alla regia.

 

Il risultato poteva essere quello del solito revival banale (certo, un serial killer con la sete di sangue che riesce a stare lontano dal crimine per 10 anni lo è), ma sarebbe stato troppo facile “riaccendere l’interruttore del vecchio Dexter”, usando le parole dell’interprete Michael C. Hall durante un’intervista per “Rolling Stones”. Invece, il nuovo Dexter è un “mostro evoluto”, un uomo ancora più complesso e interessante, e questo fa venire voglia di saperne di più sulle peripezie che la nuova serie riserva.

La scelta di un revival sembra dunque azzardata? Decisamente sì, ma per adesso, posso dire che considerare “Dexter: New blood” una semplice nona stagione di “Dexter” sarebbe alquanto riduttivo.

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